DL Stadi e spese per la sicurezza degli impianti: chi (e quanto) paga?

Foto: Ansa

Dall’ultima volta che si è parlato di legge sugli stadi, molta acqua è passata sotto i ponti del calcio italiano: l’avventura della Nazionale in Brasile, l’elezione del nuovo Presidente della FIGC e, dulcis in fundo, l’inizio del campionato, con il suo carico settimanale di polemiche e discussioni.
Per chi segue il calcio anche da un punto di vista economico e regolamentare, però, ben più importanti e decisive per il futuro di questo sport sono le normative da approvare al fine di rendere l’intero sistema più efficiente e competitivo.
Per questo motivo, una delle notizie più importanti degli ultimi giorni è senz’altro stata la proposta del Presidente del Consiglio di Ministri Matteo Renzi di introdurre, nel decreto legge sugli stadi, un contributo da parte dei club per sostenere i costi della sicurezza durante gli eventi sportivi.

Nel giro di 3 giorni, prima con un tweet sull’argomento e successivamente con un intervento pubblico sullo stesso tema, il Presidente ha ribadito il concetto secondo cui non è giusto addebitare ai contribuenti il pagamento delle spese per gli “straordinari” dei tutori dell’ordine pubblico, che invece dovrebbero essere sostenute dalla società di calcio.

Le reazioni alla proposta non si sono fatte attendere, e i principali esponenti del mondo calcistico italiano, i presidenti delle Leghe Serie A, Serie B e Lega Pro, Maurizio Beretta, Andrea Abodi e Mario Macalli, sostenuti dal Presidente della FIGC Carlo Tavecchio, hanno prontamente disatteso, tramite i canali ufficiali, l’idea di Renzi, adducendo in primis ragioni di bilancio.
In altre parole, si tratterebbe di spese che le società non sarebbero in grado di pagare, neanche con una percentuale sugli incassi da botteghino (stando alla proposta originaria, una quota fra l’1 e il 3 %).

Le prossime occasioni di dibattito avranno luogo rispettivamente il 10 ottobre, giorno dell’assemblea straordinaria dei club, convocata per discutere del decreto, il 14 ottobre, giorno dell’approdo in Senato del provvedimento, e, soprattutto, il 21 ottobre, termine ultimo entro cui il decreto-legge, atto normativo di carattere provvisorio, dovrà essere convertito in legge, pena la sua decadenza.
Sin qui le tappe di una vicenda che è ben lungi dall’essere conclusa e che, anzi, da qui a un paio di settimane potrebbe regalarci ulteriori colpi di scena. 

In realtà, l’introduzione a discapito dei club di una sorta di tassa sulla sicurezza pare cosa certa, quel che rimane in bilico è la percentuale da imporre alle società, che negli ultimi anni, ad onor del vero, hanno dovuto affrontare ingenti spese supplementari, come quelle per i tornelli, la videosorveglianza e gli interventi di riqualificazione degli impianti, senza contare l’aumento complessivo dei contributi che ha riguardato anche le persone fisiche.
Stando così le cose, appare inevitabile che le trattative fra le parti della contesa finiscano per concentrarsi solo sul quantum che le società dovranno stanziare per la sicurezza.
Di certo, al momento, vi è solo la necessità di prestare la massima attenzione ad un tema di importanza apicale per ridisegnare il calcio in Italia. 

Ciò che non può essere ignorato è il fatto che la soluzione al problema della sicurezza ha come diretta conseguenza una maggiore affluenza agli impianti sportivi, la quale, a sua volta, rappresenta il punto di partenza imprescindibile per qualsiasi progetto di rilancio dell’intero sistema.
Abbandonando per un attimo i numeri e le considerazioni di principio sin qui espresse, potrebbe essere utile spostare la nostra attenzione sui sistemi degli altri Paesi, almeno quelli in cui si suppone che le cose funzionino meglio.

In Inghilterra, solo per citare una nazione presa universalmente a modello sulla gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni sportive, i costi per la forza pubblica impegnata all’interno degli stadi sono a carico delle società che organizzano l’evento.
Sottesa a tale regolamentazione, vi è una condivisibile ratio: nessuno più di chi si occupa dell’organizzazione di una partita di calcio ha interesse a predisporre e far funzionare il sistema di tutela della sicurezza prima, durante e dopo la partita.
Di conseguenza, gli steward vengono equipaggiati, formati e impiegati direttamente dai club della Premier League.
Tornando in Italia, è pur vero che, applicando lo stesso sistema da noi, lo Stato andrebbe a risparmiare diverse decine di migliaia di Euro, che, in un momento come questo, potrebbero fare comodo ad altri ambiti della pubblica amministrazione. Senza contare che, secondo alcuni economisti, lo sforzo che le società sarebbero chiamate a sostenere non costituirebbe, conti alla mano, un sacrificio così gravoso in proporzione ai ricavi di bilancio, tanto più se parametrato ad una maggiore affluenza di pubblico (che consentirebbe maggiori guadagni) conseguente alla soluzione del problema della sicurezza.
Piuttosto, potrebbe essere utile chiedersi fin dove il nostro Paese possa spingersi nell’attingere dalle normative d’oltremanica.
Molte polemiche, ad esempio, ha suscitato l’ipotesi di introdurre, nell’equipaggiamento della polizia, la pistola Taser, un’arma da difesa non letale, che fa uso dell’elettricità per indurre una contrazione nei muscoli del soggetto colpito. Si tratterebbe di uno strumento molto potente nelle mani delle forze dell’ordine, che, è quasi superfluo precisare, andrebbe utilizzata cum grano salis. Certo non sarebbe una soluzione economica, dal momento che la predisposizione di un simile armamentario richiederebbe una spesa non indifferente.

Decisamente più praticabile, sia per ragioni di costi che – ci si consenta – di opportunità, l’utilizzo, da parte degli agenti, di minuscole telecamere indossabili durante il servizio d’ordine, che potrebbe rivelarsi un significativo passo in avanti nelle operazioni di riconoscimento dei responsabili dei disordini.
A più riprese, in passato, avevamo sostenuto la necessità di non indugiare ulteriormente nel cammino verso la soluzione del problema della sicurezza negli stadi. La ragioni sono ben note: maggiore affluenza di pubblico e ritrovato appeal del campionato italiano nel panorama mondiale, con quel che ne consegue in termini di investimenti, pubblicità e diritti tv.
Una strategia vincente, come suggerito a suo tempo, potrebbe essere quella di prendere ad esempio i sistemi che funzionano meglio, ed adeguarvisi progressivamente.
Fermarsi adesso, al presentarsi delle prime difficoltà, sarebbe un errore imperdonabile.

Avv. Carlo Rombolà

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