Calciomercato e TPO: caso Calleri, fatta la legge, trovato l’inganno

Il nome di Jonathan Calleri è uno dei più gettonati dell’attuale finestra di mercato, durante la quale i club tentano di correggere gli errori commessi in estate, cedendo i giocatori in esubero e, nel contempo, tentando di acquistare quelli che potrebbero garantire il salto di qualità alla squadra.

L’intrigo di mercato che coinvolge il talentuoso attaccante argentino non è tuttavia di interesse solo tecnico-sportivo, ma anche giuridico, poiché mette in luce un fenomeno piuttosto diffuso nel mondo del calcio, ovverosia la presenza dei fondi di investimento, altrimenti detti Third Party Ownership, che investono sui cartellini dei giocatori, speculando sul valore che questi ultimi raggiungeranno in futuro.

La FIFA ha da tempo dichiarato guerra a questo tipo di operazioni, arrivando a bandirle attraverso un provvedimento del dicembre 2014 – una circolare entrata in vigore il 1° maggio 2015 – che, nello specifico, ha disposto il divieto di operazioni aventi ad oggetto la negoziazione delle TPO.
Nel caso di specie, il proprietario del cartellino di Calleri risulta essere un fondo di investimento, lo Stellar Group, non nuovo a operazioni di questo genere.
Il problema è che le squadre interessate al giocatore – fra cui sembra esserci l’FC Internazionale – si troverebbero, stando così le cose, a dover gestire un’operazione che la FIFA considera irregolare.
A questo proposito, si ricordi il caso dell’FC Seraing, squadra belga di seconda divisione, punita per aver violato le regole sulle TPO con il blocco del mercato e una multa di 150mila franchi svizzeri, pari a circa 136mila euro.

La ratio giuridica della circolare risiede nella necessità di tutelare i giovani calciatori e, di conseguenza la regolarità dei trasferimenti, dalle attenzioni degli speculatori, che tuttavia in questo modo non vengono messi al bando, ma incoraggiati a eludere la normativa, trovando delle scappatoie in piena legalità.
La più utilizzata è quella di far transitare il giocatore tra le fila di un club compiacente, destinatario di un prestito oneroso, in attesa dell’arrivo di una società disposta a riscattarlo a un prezzo pari a quello di vendita dal club originario.

In altre parole, supponiamo che il Club Atlético Boca Juniors intenda vendere all’Inter il suo gioiello, il cui cartellino appartiene a una cosiddetta Third Party, un fondo d’investimento. Se il club italiano andasse a definire l’operazione di acquisto con la società argentina, incorrerebbe in una sanzione da parte della FIFA. Un modo per eludere la sanzione sarebbe quello di prestare il giocatore ad una società terza in attesa di concludere il trasferimento, che risolverebbe ipso facto il contratto di prestito, con il pagamento del riscatto.

Il meccanismo appena descritto è stato più volte utilizzato in casi analoghi, ed integra una prassi piuttosto consolidata, con la quale i fondi d’investimento tendono ad aggirare il divieto della FIFA, servendosi di società minori dalle quali far transitare i giocatori sui quali investono, cessando così di essere terze parti.

Riassunti in breve i termini del caso, non è più possibile ignorare che il provvedimento della FIFA, così com’è, non risponde all’originaria funzione di tutelare i giocatori e il mercato, poiché non riesce nell’intento di porre effettivamente al bando le TPO.
La soluzione è quella di schierarsi apertamente – e formalmente, con provvedimenti appositi – contro ogni tipo di abuso, con una normativa capillare e da interpretare in maniera estensiva.
Si comprende perfettamente che la massima confederazione continentale abbia, ad oggi, problemi più urgenti da risolvere, ma l’auspicio è che, dopo l’elezione del nuovo presidente, prevista in occasione del congresso straordinario del 26 febbraio prossimo, si possa assistere ad un deciso intervento normativo in questa materia.

Avv. Carlo Rombolà

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