Analisi sui proventi dei diritti televisivi e possibili nuovi scenari di ripartizione.

Nei giorni scorsi, al fine di una distribuzione più equa fra le società, si è parlato tanto di una probabile modifica dei criteri di assegnazione delle risorse derivanti dalla contrattazione collettiva fra Infront e la Lega Serie A. Ma andiamo per gradi.

Come noto, i diritti tv sono una delle principali voci di ricavo delle società di calcio, insieme ai proventi da stadio, e a quelli commerciali. Se all’estero i club hanno imparato a diversificare la propria attività (in un conto economico equilibrato ogni area di ricavo dovrebbe pesare per circa 1/3), lo stesso non si può dire per i club italiani, troppo dipendenti dai diritti tv, e incapaci (eccezzion fatta per rari casi, fra cui la Juventus) di aumentare il proprio volume d’affari. Si capisce quindi come per molte società la sopravvivenza/fallimento possa dipendere proprio da questi ultimi. Proprio attraverso il confronto con l’estero è opportuno fare alcune precisazioni:

- In Italia la distribuzione degli introiti non viene comunicata ufficialmente dalla Lega di Serie A (a differenza per esempio, della Premier League);

- La Lega Serie A si avvale di un advisor appositamente nominato, Infront, che viene pagato profumatamente per la propria attività di commercializzazione dei diritti tv (per il triennio 2015-2018 nelle casse di Infront sono andati ben 50 milioni di euro).

Per avere chiaro il quadro generale occorre inoltre dire che dalle risorse commercializzate viene detratta una quota del 10% destinata ai settori giovanili e dilettanti, una quota dello 0,05% a titolo di finanziamento per l’Autorità Garante per le Telecomunicazioni, e una quota (da quest’anno salita a 60 milioni di Euro) quale contributo (paracadute) destinato alle tre squadre retrocesse in B.

In ultimo, prima di addentrarci sui criteri di ripartizione, occorre sottolineare come in questi ultimi mesi tutte le principali parti in causa (Sky, Mediaset Premium, Infront, e Lega Serie A) sono state accusate dall’Antitrust di avere alterato il confronto concorrenziale per i diritti 2015-2018 in sede di partecipazione alla gare.
Ed è proprio dei giorni scorsi la sentenza dell’Antitrust che ha condannato Mediaset Premium (la parte più colpita) al pagamento di 59 milioni di Euro, Sky Italia per 4 milioni, Infront per 9, e Lega Serie A punita con una sanzione di 1,9 milioni.

Attualmente, la legge Melandri fissa i seguenti criteri di ripartizione:

1. Il 40% delle risorse viene diviso in parti uguali;

2. Un 30% viene suddiviso alle squadre in base al bacino d’utenza, - criterio sempre di difficile interpretazione e soggetto a numerose discussioni in Lega proprio per la sua arbitrarietà e incertezza. Precisamente il 25% in base al numero dei supporter, e il 5% in base alla popolazione;

3. L’altro 30% (forse il più discusso in lega) viene suddiviso in base ai risultati che la squadra ha ottenuto sul campo: il 5% in base ai risultati ottenuti nell’ultima stagione, il 15% in base ai risultati dell’ultimo quinquennio, e il rimanente 10% in base ai risultati che la squadra ha ottenuto dalla stagione 1946/47 all’ultimo quinquennio.

Questa la suddivisione dei 924 milioni netti alle 20 società di serie A:

Fonte Calcio e Finanza


Questi i probabili nuovi criteri che potrebbero entrare in vigore a partire dal 2018, anno in cui partirà l’asta per i diritti del prossimo triennio:

- 50% delle risorse suddivise in parti uguali fra i club (e non più il 40 come l’attuale sistema);
- il 30% delle risorse spettanti al bacino d’utenza, che non sarebbe più calcolato secondo indagini demografiche tese a segmentare gli intervistati (appassionati, partecipanti, e simpatizzanti), bensì in base al numero ufficiale degli abitanti di ogni città;
- la quota spettante ai meriti sportivi scenderebbe dunque dal 30 al 20%.

Prima di fare tutte le considerazioni del caso, diamo uno sguardo ai principali campionati esteri per capire come i principali partner e competitors europei suddividono le risorse.


In Spagna, a partire dalla prossima stagione entrerà in vigore la vendita centralizzata dei diritti televisivi, che sostituirà il modello secondo cui ogni squadra tratta la cessione dei diritti solamente per la propria società. In particolare, il 90% delle risorse ad essere destinato ai club della prima divisione, mentre il restante 10% sarà destinato alla Serie B spagnola. Non sono ancora stati resi noti da parte della federazione spagnola i criteri ufficiali, tuttavia essi non dovrebbero discostarsi di tanto dai seguenti:

- il 50% diviso in parti uguali;
- una quota in base ai risultati ottenuti sul campo;
- una quota in base alla vendita di biglietti e abbonamenti;
- una quota in base al bacino d’utenza.


Non mancano argomenti di discussione neppure in Bundesliga, dove molti club lamentano la poca considerazione di criteri legati al numero di tifosi, alla popolarità, al numero dei fan sui social; ad ogni modo la situazione attuale, è la seguente:


Senza preferire un criterio rispetto agli altri, dal confronto con i maggiori campionati esteri possiamo tuttavia effettuare alcune considerazioni.
Il primo dato su cui riflettere è quello secondo cui all’estero la quota delle risorse che viene suddivisa in parti uguali alle società è nettamente maggiore: questo per favorire la competitività dell’intero campionato e renderlo conseguentemente più incerto, e quindi più bello e seguito. La Premier League di quest’anno conferma in pieno queste considerazioni, soprattutto se si pensa che del “fenomeno” Leicester ne ha goduto l’intero sistema, garantendosi più visibilità, e dunque sempre più introiti futuri;
Al di là della percentuale di quota di risorse uguali distribuite nei vari campionati, è da sottolineare come esse abbiano un peso relativo differente. In Italia infatti esse costituiscono in media il 60-70% dei ricavi dei club; fuori confine la percentuale si riduce drasticamente (si pensi al 30% -40% della Premier, e della Bundesliga). Questo perché all'estero, a differenza dell’Italia, si è capito che i club sono delle aziende vere e proprie e che quindi vanno gestiti in ottica economica (Il Manchester United con i suoi ricavi e dividendi è maestro in questo).
Qualcosa sembra muoversi anche in Italia con molti club intenzionati ora a puntare ad uno stadio di proprietà ma la distanza è ancora notevole;

In ultimo, in Italia l’aumento della quota uguale fra i club è vista di cattivo occhio, perché i grandi club sostengono che dovendo rinunciare a quel flusso incrementale di ricavi perderebbero di competitività con i grandi club stranieri. A parere di chi scrive questa è una considerazione sbagliata, perché se è vero che le big italiane otterrebbero nell’immediato meno risorse, è anche vero che un campionato più incerto è molto più attraente, divenendo dunque un prodotto più attraente da vedere (non a caso i diritti della Premier valgono tre volte quelli italiani). Si pensi quanto bello e vendibile sarebbe un campionato in cui ogni domenica l’esito delle partite è incerto, e molte più squadre potrebbero competere per lo scudetto! Ne beneficerebbe l’intero sistema!

In attesa di vedere se la nuova legge sarà applicata o meno, ad ognuno le proprie considerazioni.

Francesco Sottile
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