Economia dell'Old Firm e il futuro del calcio scozzese

La storia dell'Old Firm non è fatta soltanto da match memorabili, uomini, tensioni e violenze. Un dato spesso sottovalutato e poco considerato è infatti quello relativo all'impatto economico che una delle sfide più popolari del mondo può garantire all'industria del pallone. Non solo, come vedremo ora nello specifico il derby di Glasgow, a partire soprattutto dagli anni novanta, e cioè da quando gli aspetti economici e commerciali hanno elevato il calcio a un piano superiore, ha sempre rappresentato un caposaldo nell'economia scozzese e in quella del suo calcio, in concomitanza con l'inizio della sua svalutazione tecnica iniziata alla fine degli anni ottanta.

La ricerca più esaustiva sul valore dell'Old Firm e sul suo apporto in termini monetari è stata condotta una decina di anni fa dalla Strathclyde University, lo stesso ateneo che, negli ultimi anni, ha condotto un'altra interessantissima ricerca sul derby di Glasgow, e cioè quella che stabilisce una connessione tra il derby e gli episodi di violenza domestica di abusi a mogli e figli, in aumento del 50% tra il dato generale di 66 casi nelle settimane precedenti e successive al match, e di 121 episodi denunciati alla polizia il giorno della partita. Ma in questo capitolo è di economia che stiamo parlando, e dunque il dato più importante condotto dal report ha evidenziato come la partita scozzese più importante di tutte abbia un impatto nell'economia nazionale vicina ai 118 milioni di sterline, circa 120 milioni di euro, e metta a disposizione poco più di 3.506 posti di lavoro, di cui 876 alle dipendenze dirette dei due club. Si tratta di un evento capace di generare più profitti di quanto lo faccia il Festival di Edimburgo: una rassegna di eventi culturali che, in estate, porta ogni anno nella Capitale milioni di turisti per un giro di affari di 38 milioni e una forza lavoro di circa 2900 occupati.

Negli studi condotti dall'ateneo di Glasgow sono stati calcolati non solo tutti gli introiti provenienti da biglietti, merchandising, sponsorizzazioni e diritti tv, ma anche i consumi relativi ai mezzi di trasporto e ristoro. Se però nel giorno della partita l'Old Firm è capace di attrarre una media di 50mila spettatori allo stadio, nel dato devono essere prese a campione anche le centinaia di migliaia di appassionati e tifosi che invece vivono l'evento all'esterno degli impianti, affollando hotel, pub, ristoranti e centri di scommesse (la cui somma totale delle puntate si aggira circa sulle 10mila sterline). La sfida infinita tra Celtic e Rangers è infatti capace di attrarre anche chi a Glasgow non vive, ma decide comunque di recarsi per respirare l'aria carica di elettricità e di tensione che accompagna l'attesa per il fischio d'inizio nel giorno della partita. Nella settimana che accompagna la data del match, sia a Glasgow e sia in tutta la Scozia si respira un'aria diversa: un countdown mentale capace di consumare la spasmodica attesa. Ed è proprio per questo motivo che nei week-end della gara è infatti quasi impossibile trovare una stanza in albergo, Non a caso nel 2012, la prima categoria preoccupata per la scomparsa dei Rangers è stata proprio l'associazione degli albergatori.

Tra chi, da un punto di vista economico, ha subito un danno dalla momentanea "sospensione" dell'Old Firm c'è stata soprattutto la città di Glasgow che, come mostra la ricerca della Strathclyde University, incassa il 75% dei proventi derivanti dal match, con un 63% di questi che finisce direttamente nelle casse del club e il restante 37% che invece è appannaggio di altre attività. Per la seconda città della Scozia il suo derby è capace di generare introiti superiori allo shopping. I tifosi di Celts e Gers sono poi allo stesso tempi i più "spendaccioni" delle leghe nazionali. La loro spesa annuale ha infatti un importo totale di 15 milioni: una bella cifra se pensiamo che quella di tutte le tifoserie scozzesi si aggira sui 57 mln.

Come detto, non ci sono solo i residenti di Glasgow a rientrare nel giro d'affari di 120 milioni di euro, ma l'Old Firm è merce d'attrazione anche per i tifosi e gli appassionati delle Lowlands, i territori a sud del Paese che non distano più di due ore e mezza da Glasgow e che quindi, per via del tragitto breve e dell'efficiente servizio di trasporti, decidono di raggiungere la città per vivere la gara. La loro partecipazione all'evento produce infatti un giro di 22 milioni di pounds, cioè il 23% della spesa totale dei tifosi in quel week-end. Tutti questi dati dimostrano quindi che il derby non comporta solo disagi e violenze, ma abbia anche un valore economico fondamentale per classi lavoratrici e tifosi-consumatori. Per questo motivo, quando agli inizi degli anni duemila la Football Association inglese aveva preso in considerazione la possibilità di accogliere Celtic e Rangers al di là del confine, in Scozia avevano fatto le barricate. La perdita delle due squadre sarebbe infatti una "tragedia", e non solo per una questione tecnica, che causerebbe una perdita per la Scottish Football Association vicina ai 40 milioni di sterline.

L'uscita di scena dei Rangers nel 2012 è stato un colpo durissimo e ha provocato un terremoto finanziario. Con un giro d'affari vicino ai 2.5 milioni a partita, la mancanza dell'Old Firm ha avuto un peso specifico nel fatturato del Celtic, che senza le sfide con il suo rivale prediletto ha registrato dieci milioni annui in meno nel bilancio. Non solo, quando i Light Blues entrarono in liquidazione, in Scozia ci si interrogava su come un possibile addio di Ibrox avrebbe colpito duramente il massimo campionato locale. Non hanno impiegato troppo tempo a capirlo, iniziando dai diritti tv, i quali contratti, rinnovati per un importo di 80 milioni proprio nei mesi precedenti al crac, sono stati ridiscussi nel 2014 e rimodellati per via dell'assenza dei Rangers che, curiosamente, impegnati nella stagione 2014/2015 in seconda serie in compagnia di compagni del calibro di Hearts e Hibernian, ci hanno perfino guadagnato.

Non è stato però il broadcasting l'unica categoria commerciale che è tornata a sedersi al tavolo delle trattative. Anche le sponsorizzazioni sono tornate ad attivare ragionieri e contabili per verificare come la mancata partecipazione dei Rangers potesse arrecare danni. Chi ha sofferto di più, sempre dal punto di vista finanziario, il fallimento del gigante blu di Glasgow sono però stati i piccoli club scozzesi, che proprio sull'importanza tecnica ed economica di Ibrox affidavano una voce importante dei proprio bilanci: quella dei botteghini. L'importanza dell'Old Firm per il resto di Scozia si può individuare in una norma che stabilisce che nel corso stagione i club minori debbano giocare due dei tre match stagionali della regular season sul proprio campo, altrimenti hanno diritto a un indennizzo. La discesa dei Rangers ha forse giovato da un punto di vista tecnico, ma ha causato un danno da 150mila sterline a stagione e un crollo di ingressi allo stadio che, prima del 2012, rappresentavano all'82% match contro i club di Glasgow. Solo l'Aberdeen, che in questi anni è passato da terza squadra nazionale a principale antagonista del Celtic, ha registrato un aumento delle affluenze. Il resto dell'andamento è stato invece in controtendenza, con il risultato di minori entrare, minori investimenti, svalutazione delle rose e del gioco e stadi vuoti. Cosa ha portato tutto questo? Un ulteriore svalutazione del calcio scozzese e la difficoltà per i club locali di fare strada nei preliminari delle Coppe europee in estate, avventure che si concludono sempre al secondo turno contro squadre semi-sconosciute dell'est Europa.

Il dominio delle squadre di Glasgow è diventato sempre più evidenze negli anni novanta, quando i premi in denaro derivanti soprattutto dalle Coppe contribuirono a creare un solco nelle classifiche. Il fallimento del 2012 ha colpito anche il Celtic, e non solo per un minor fatturato. Senza più i Light Blues l'East End ha infatti preso il potere assoluto in patria, e un campionato giocato senza rivali ha comportato un crollo del pubblico di 6mila unità, passando dalla media di 50mila spettatori a quella di 44mila. Per questo motivo in questi anni i biancoverdi hanno atteso con ansia il ritorno dei rivali, e non solo per la magia del derby.

Inutile specificare invece a quanto ammontino le perdite dei Rangers nelle serie minori, anche se è impossibile fare un paragone con i precedenti esercizi finanziari poichè la società odierna è nata da una NewCo. creata nei giorni successivi alla liquidazione. Dovendo ripartire dalla quarta divisione Ibrox si è comunque "difesa" con onore, potendo contare su un seguito sempre massiccio superiore alle 30mila unità. Non solo, televisioni e contratti commerciali non hanno mai preso davvero le distanze dal club, il cui fascino e interesse non è mai stato intaccato. La Football League scozzese non è però quella inglese, i Rangers impiegheranno quindi degli anni per riacquistare il vecchio potere finanziario di una volta (sette anni prima del crac la società era valutata 200 milioni di sterline ed era il 25° club più appetibile al mondo). Con la visione dei match delle squadre di Glasgow che si aggira sulle 900mila presenze, a differenza dei 150mila per le altre gare, appare ora più chiaro da dove derivi questo "accerchiamento dei poteri" dei due club, che dal 1999 al 2013 hanno perfino negoziato insieme i propri contratti di main-sponsor.
Per una divisione e un odio così profondo anche gli investitori hanno capito che trattare con una parte avrebbe voluto perdere potenziali clienti dall'altro. Ed è per questo motivo che in questi quattordici anni entrambe le maglie hanno avuto lo stesso sponsor, che si trattasse di una linea di comunicazione o di marchi di birra, che proprio nei tifosi di calcio avevano individuato il terreno fertile per massimizzare i profitti. Se in Inghilterra si consideri che quando la banca Northern Rock ha deciso di sponsorizzare il Newcastle, il 25% dei clienti di Sunderland hanno voluto chiudere il conto; e quando la JJB Sports preferì investire nel Wigan invece che nel Manchester United per non perdere i guadagni a Liverpool, appare più chiaro come la scelta sia stata tutto sommato oculata. Ma per un odio viscerale è stato poi nel 2013 che il Celtic ha deciso di trattare un nuovo sponsor separatamente, per accontentare una parte della tifoseria che non digeriva perfino di condividere lo sponsor con l'altra metà della città. Ma quella di pochi anni fa non è stata l'unica polemica creata dai tifosi di Celtic Park in materia di sponsor. Quando a inizio novanta la rivoluzione commerciale del calcio si avvicinò al club proponendogli il primo contratto di sponsorizzazione, in pochi videro di buono occhio la cosa, non volendo "sporcare" la divisa con un marchio. Non solo, se a questo si aggiunge che il primo brand stampato sulle bande orizzontali biancoverde è stata la CR Smith, una società attiva nel campo del vetro e in precedenza sponsor dei Rangers, si può intendere come nell'East End non abbiano vissuto bene l'evento. Ma gli introiti derivanti da questo tipo di contratti sono necessari, e per una platea esigente come quella di Celtic Park la resa è arrovata poco dopo.

Ora che i Rangers sono tornati dove sono sempre stati, quali sono le sfide dell'Old Firm, e più in generale del calcio scozzese? Il derby di Glasgow è tornato a produrre i suoi 2.5 milioni a partita: club, tv e lavoratori ringraziano. Per il football a nord del Vallo di Adriano la sfida è ora quella di riacquisire il vecchio potenziale, mettere fine a un' "emorragia" iniziata quasi trent'anni fa. Ma se il 94% degli spettatori che seguono le partite in tv lo fanno quando gioca una squadra di Glasgow, la strada sembra essere ancora una volta a senso unico.

Andrea Dimasi

[capitolo IX “Economia dell’Old Firm” del libro “Old Firm – La Battaglia di Glasgow”, Andrea Dimasi. Urbone Publishing, 2016. 12 euro]

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