Nike, adidas e Under Armour. Le Strategie dei Big Three dello Sportswear

di Manuel Riccio.
Nel 1962, Phil Knight partì dall’Oregon per andare in Giappone a convincere i produttori di sneaker locali ad esportare i propri prodotti nel mercato USA. Sebbene, come racconta nelle pagine della sua stupenda biografia “Shoe Dog”, fosse convintissimo che la propria Crazy Idea potesse avere successo, mai si sarebbe aspettato che Nike, la sua creatura, diventasse un colosso capace di fatturare oltre 30 miliardi di dollari all’anno. L’azienda di Portland, che fa del “Just do it” il proprio motore immobile, è ampiamente la leader del settore sportswear, grazie alla capacità di creare un’identità di brand riconoscibile in tutto il mondo.

Oggi, però, ci sono due realtà che stanno sfidando Nike con veemente convinzione. Una è adidas, che dal suo headquarter di Herzogenaurach in Germania, ha rivitalizzato le proprie strategie sia sul lato prodotto che su quello sponsorship, dando nuovo impulso ad un’azienda da 19 milioni di dollari (dati 2015). L’altra ha sede a Baltimora ed è Under Armour, la cui anima è perfettamente interpretata dal suo Founder e CEO Kevin Plank, un imprenditore spavaldo, con idee chiare e strategie ambiziose, e con una sua Crazy Idea: quella di spodestare Nike.
Nonostante UA sia ben lontana dai numeri delle due rivali (ha chiuso il 2015 con 5 miliardi di dollari di ricavi), è stata capace di superare nel 2015 adidas come secondo brand nel mercato USA, in larga parte per le forti radici nel football americano e nello sport collegiale, oltre all’esplosione della stella di Stephen Curry, guardia dei Golden State Warriors capace di assicurarsi due titoli di MVP consecutivi nella NBA.

Proprio la star dei Warriors esemplifica la chiave di volta nell’eterna competizione tra le Big Three: il destino di queste multinazionali, molto spesso, è appeso al minimo dettaglio, che non sempre è nella sfera di controllo dell’azienda. Quando il team di sport marketing di Nike irritò Dell Curry, ad esempio, inserendo un’immagine di Kevin Durant nella presentazione destinata ad assicurarsi la sponsorizzazione del figlio Stephen, si è aperta una strada di successo per Under Armour nel basket, fino a quel momento piuttosto marginale nel business di UA. Una goccia nell’oceano, certo, ma in quel momento nessuno si sarebbe atteso che Curry diventasse il primo MVP unanime della storia della NBA.

I diversi piani di marketing e gli endorsement con atleti
Ci sono alcuni punti da evidenziare nelle strategie dei Big Three in questo momento storico. Nike ha un grande obiettivo davanti, che è quello di raggiungere i 50 miliardi di dollari di fatturato annuo: come ci può arrivare? Oltre alle strategie di sport marketing che andremo a vedere in seguito, lo swoosh sta proponendo un’innovazione dietro l’altra. 

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L'articolo completo è stato pubblicato sul magazine b2s business to sport

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