L'attuale situazione degli impianti in Italia: lo “stadio costo”

Tesi di laurea di Andrea Vincenti
Titolo "Il business nel calcio  e il modello “B Futura”: vantaggi e opportunità di uno stadio moderno"
Anno accademico: 2012/13

CAPITOLO 2 - LO STADIO POLIFUNZIONALE:ASSET DETERMINANTE  PER LE SORTI DELLE SOCIETA' ITALIANE (un estratto)

L'attuale situazione degli impianti in Italia: lo “stadio costo”.
In Italia incombe urgentemente la necessità di avere impianti sicuri, comodi, moderni e possibilmente di proprietà dei club vista la situazione attuale degli stadi che è deprimente. Il primo report sul calcio, pubblicato nel 2012 dalla FIGC, che ha esaminato l'intero panorama italiano attraverso un'ampia disamina economico-finanziaria sui bilanci dei club professionistici, effettuando anche un confronto con i maggiori campionati nazionali europei, ha definito il modello di business del calcio italiano poco completo e, come già ampiamente sottolineato in precedenza, difficilmente sostenibile.

La mancanza di investimenti in infrastrutture e servizi, nonché di una visione di lungo periodo e di un management in grado di comprendere con acutezza tale situazione, hanno comportato una gestione fallimentare degli stadi di calcio italiani protrattasi per anni, divenendo, senza dubbio, una delle principali cause del vistoso calo di spettatori riscontrato in Italia nell'ultimo decennio: dieci anni fa l'Italia aveva un alta partecipazione di pubblico per partita in linea con le più importanti Leghe europee, ma mentre negli altri paesi si è assistito ad un incremento degli spettatori nel corso dell’ultimo lustro, il trend riguardante l’Italia è andato in netta controtendenza, risultando l'unico campionato europeo dove vi sia stato un calo degli spettatori medi per gara.

Allo stato attuale gli stadi sono, nella maggior parte dei casi, di proprietà dei Comuni, o del Coni come nel caso dell'Olimpico, e vengono utilizzati a fronte di canoni di locazione che sempre più speso sono integrati da accordi di compartecipazione per la suddivisione delle spese di manutenzione straordinaria degli impianti. Chi vuole costruire un nuovo impianto in Italia è scoraggiato dalle molteplici difficoltà burocratiche, amministrative e finanziarie mentre nel resto d'Europa si collabora con le amministrazioni locali e ci si evolve per venire incontro al cambiamento delle aspettative dei clienti e all’avvento delle nuove tecnologie nel settore delle strutture sportive.

Sfortunatamente, il modello italiano che finora ha gestito il business del football sembra essere piuttosto anacronistico e al momento incapace di affrontare le sfide future. L’equilibrio economico non è stato garantito: la crescita enorme dei costi durante gli ultimi anni non ha coinciso con una politica di sfruttamento corretta delle diverse fonti di ricavo. La Premier League inglese e soprattutto la Bundesliga tedesca hanno chiuso in attivo le passate stagioni sportive mentre la Serie A italiana continua ad accumulare le più grandi perdite tra le maggiori Leghe europee17, evidenziando ulteriormente la necessità di un’immediata revisione delle politiche di gestione dell’intero sistema.

Il piano di costruzione e ristrutturazione degli stadi non è certamente economico: assume pertanto rilevanza strategica creare una partnership tra pubblico e privato che veda coinvolti, oltre ai club, anche le Autorità Locali (proprietarie di quasi tutti gli stadi in Italia) e il Governo centrale. L’intero progetto di ricostruzione esiste solo sulla carta e, anche se il Governo italiano spesso cita i modelli d’investimento tedesco ed inglese come una panacea per i problemi del mondo del calcio, tali dichiarazioni appaiono in contraddizione con la modesta offerta di € 20 milioni all’anno per coprire gli interessi sui prestiti.

L'età media degli stadi italiani è di 67 anni, il 30% delle strutture è stato costruito tra il 1920 e il 1937, il 30% tra il 1950 e il 1970 e il rimanente 40% tra il 1972 e il 1990. Gli unici esempi di stadi di nuova costruzione, tralasciando lo Juventus Stadium e il nuovo Friuli di Udine, sono rappresentati dagli impianti di Padova, Messina e Reggio Emilia: si tratta di un risultato abbastanza deludente per un paese come l’Italia che rappresenta da sempre uno dei movimenti calcistici più importanti d’Europa. Allo stato attuale l'utilizzo medio di uno stadio italiano è di sole 70 ore l’anno e questo si ripercuote sui club che devono affrontare costi fissi notevoli (affitti e spese di gestione) che non possono essere ripartiti su un numero maggiore di eventi.

La penuria di facilities e le scarse possibilità di sfruttamento degli spazi interni ed esterni alla struttura limitano inoltre le opportunità di incrementare i ricavi. Il risultato è una politica di gestione inadeguata con dinamiche lontane da strategie economiche di successo e da logiche imprenditoriali.

La situazione è aggravata, come già detto in precedenza, da una completa mancanza di visione in termini di investimenti in infrastrutture e da un management impreparato e incapace di comprendere gli sviluppi futuri e l'evoluzione di questo fiorente mercato. Tale disastrosa politica è alla base della perdita di competitività dei club italiani durante gli ultimi anni rispetto agli altri top club europei (inglesi in particolare). Inoltre, il crescente numero di episodi di violenza e razzismo contribuisce a fornire la percezione dello stadio come un luogo pericoloso e insicuro.
Le costruzioni sono assolutamente anacronistiche e la buona parte delle strutture che ospitano gli spettatori sono cadenti: partendo da tali considerazioni, è facile capire perché solo sei dei diciotto stadi di Serie A siano ufficialmente considerati dall’UEFA “strutture sicure per il gioco del calcio".

Il compito dei club e del Governo deve essere di promuovere un piano per il rinnovamento degli stadi così che i tifosi possano assistere alle partite in un ambiente confortevole e sicuro: è necessaria un’unità di intenti al fine di trasformare questa crisi profonda in un'opportunità e permettere all'Italia di risalire dalle ultime posizioni tra le Leghe europee per quanto riguarda le grandi infrastrutture sportive.

Qualcosa comunque all'orizzonte si sta muovendo: esistono, anche se in fase embrionale o progettuale, progetti di diverse società (Roma, Palermo, Catania, Napoli, Lazio, Inter) e, anche se si è trattato di interventi di natura estemporanea, negli ultimi anni è stata realizzata una serie di ammodernamenti dettati dalla necessità di adeguamento delle strutture a regolamenti nazionali, normative e regolamenti per lo svolgimento di competizioni internazionali.

Più avanti verrà presa in esame la questione riguardante il Disegno di Legge Butti-Lolli, volto a favorire la realizzazione o ristrutturazione di impianti sportivi e stadi, attraverso la semplificazione e l'accelerazione delle procedure amministrative ma che è stato definitivamente bloccato da Legambiente. Approvato al Senato nel 2009 e ottenuto nel luglio 2012 il primo via libera della Camera dei Deputati, era fermo però da più di anno alla seconda approvazione del Senato (essendo stato modificato in Parlamento), grazie a tale decreto si sarebbe dovuto non soltanto riuscire a snellire gli adempimenti burocratici per la costruzione di nuovi impianti ma addirittura dare una spinta alla ripresa in tempi di crisi: secondo uno studio di StageUp infatti, la costruzione di nuovi stadi potrebbe garantire, per i prossimi dieci anni, investimenti per 4 miliardi di euro e produrre 85.000 nuovi posti di lavoro, determinando un'impennata del fatturato della Serie A. C'è stata comunque una nuova proposta, presentata a settembre 2013* dagli onorevoli Filippo Fossati e Dario Nardella del Pd che dovrebbe aver eliminato gli elementi di attrito riguardanti il discorso delle speculazioni commericali e ambientali, non resta che rimanere fiduciosi in merito.

Si può quindi affermare che la differenza principale tra il nostro sistema e quello degli altri paesi europei è nella concezione di stadio: se per le realtà più avanzate, grazie a una profittevole gestione degli spazi interni ed esterni all'impianto, rappresenta una fonte di ricavi, in Italia è soltanto un costo considerate le spese di gestione, adeguamenti normativi e i canoni di locazione.

Il modello dello “stadio costo” rappresenta più o meno esattamente ciò che accade in Italia e si caratterizza per le seguenti situazione negative:

-la proprietà pubblica dell'impianto con conseguente costo di locazione a carico della società calcistica e i costi degli affitti sono piuttosto elevati, Inter e Milan versano 8 milioni di euro l'anno (ciascuno) al comune di Milano per l'utilizzo dello stadio San Siro, Roma e Lazio ne versano 6 ciascuno al Coni con l'ulteriore aggiunta di centinaia di biglietti gratuiti da destinare al Coni stesso;

-si tratta di strutture non pensate specificatamente per il calcio visto che il 47% degli stadi di Serie A e B hanno la pista d'atletica che penalizza di molto la visibilità;

-basso livello di comfort, di sicurezza e di appeal considerando che il 44% dei posti è scoperto e che, essendo impianti insicuri e fatisceni, le misure di sicurezza adottate hanno ridotto ulteriormente la visibilità e il fascino dello spettacolo con il 92% degli stadi di A e B che presentano barriere fra campo e tribune;

-collocazione in stile “cattedrale nel deserto” e cioè con assenza di tutte le infrastrutture necessarie a rendere l'impianto facilmente accessibile e fruibile con il servizio metropolitana presente soltanto a Napoli e con i treni che praticamente è come se non esistessero, salvo tre eccezioni; anche per quello che riguarda i parcheggi il dato non è confortante con il 67% degli impianti che ha meno di un posto auto ogni 19 spettatori.

- la gestione del manto erbosa poco attenta perchè ulteriormente dispendiosa;

- utilizzo dell'impianto quasi esclusivamente riservato al matchday.

Andremo adesso ad analizzare nel prossimo paragrafo cosa significherebbe per il movimento calcistico italiano avere finalmente degli stadi polifunzionali dopo aver comunque valutato cosa significa per una società sportiva e soprattutto per il suo bilancio essere gestori diretti di un impianto.


*Aggiornamento: la legge Nardella-Fossati presentata a settembre 2013 è stata approvata a dicembre 2013 inclusa nella legge di stabilità del Governo Letta".


Andrea Vincenti


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andream.vincenti@gmail.com

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