I nuovi giganti: l'oriente che investe nel calcio europeo

Già prima dell'ultima Supercoppa italiana, giocata a Doha il 22 dicembre dello scorso anno, si sapeva quanto gli investimenti asiatici e mediorientali fossero determinati nel calcio moderno. In ogni sessione di calciomercato, i tifosi sognano gli imprenditori stranieri che hanno fatto grande la Premier League e che hanno rilanciato squadre come il Paris Saint Germain.

La tendenza è piuttosto recente. Iniziata una ventina di anni fa, ora domina la scena internazionale riscrivendo gli equilibri a cui eravamo abituati. Un cambio di scenario descritto in “Emerging Giants”, il report di Repucom che sul fenomeno fornisce dati e proiezioni.

A livello mondiale, oltre il 76% degli investimenti nello sport business arrivano da nazioni asiatiche e mediorientali. Nel calcio, sono i paesi del Medio Oriente a essere tra quelli più attivi, con un ammontare di 1,5 miliardi di dollari investiti in Europa. I club vengono finanziati attraverso l'acquisto di ampie quote azionarie, come ad esempio è accaduto per il Manchester City e l'Arsenal in Inghilterra, oppure il Monaco1860 in Germania. 
In altri casi la proprietà è totale, vedi il Paris Saint Germain rilevato nel 2011 dalla Qatar Sports Investment, oppure il Malaga di Abdullah bin Nasser Al Thani. Meno note, ma sempre interamente mediorientali, le proprietà del Leeds United e del Nottingham Forest. A rappresentare l'Asia, invece, c'è il magnate Erik Thohir, che nel 2013 è diventato azionista di maggioranza dell'Inter.

Dai paesi del Golfo arrivano anche ricche sponsorizzazioni. Qatar Airlines con il Barcellona, Etihad con il Manchester City, e poi la prestigiosa scuderia di Emirates, che vede il suo logo stampato sulle maglie di Arsenal, Milan, Paris Saint Germain e Real Madrid. Una strategia di investimento indirizzata verso una continua crescita, con una forte accelerazione negli ultimi anni: se nel 2014 le aziende degli Emirati Arabi hanno speso 163 milioni di dollari per comparire sulle divise delle squadre europee, nel 2010 la cifra si aggirava sui 25 milioni.

Lo sviluppo economico dei paesi asiatici e orientali, e soprattutto la diffusione di Internet, hanno reso il calcio definitivamente globale, con una platea di 1,6 miliardi di appassionati nel mondo. Premier League e Liga restano in vetta nelle preferenze, ma le opportunità di business esistono anche per i club italiani, dove però la crisi economico-sportiva che stanno vivendo resta un problema reale.

Gli investitori, italiani e stranieri, hanno bisogno che fuori dai nostri confini si torni a parlare del campionato italiano come uno di quelli più belli al mondo. E non sarà certo la quantità di denaro a fare la differenza. Servono nuove idee, nuove competenze e progetti concreti. Il nostro campionato ha impianti con un'età media di 64 anni e non regge il confronto con chi ha costruito arene moderne e confortevoli, ha dichiarato a dicembre Andrea Agnelli durante il Globe Soccer 2014 di Dubai. Il presidente della Juventus ha poi aggiunto che “pur incassando 1 miliardo e 200 milioni di diritti TV, siamo preoccupati nel vedere che chi non tifa, all'estero, sceglie le partite con scenografie migliori delle nostre”.

Alessandro Milani

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