Volley: passione fa rima con ragione? Le sofferenze economiche dei sodalizi sportivi

A seguito della notizia delle dimissioni del CDA della PALLAVOLO AVELLINO (già Pallavolo Atripalda ) non poteva che riemergere il mio “spirito giuridico rivoluzionario” e ciò anche alla luce delle numerose perplessità e domande (alcune esclusivamente e squisitamente retoriche) formulate nei giorni scorsi dagli appassionati di Volley, giornalisti ma anche semplici tifosi.

Premesso che, forse illusoriamente, continuo a considerare il Volley come una grande famiglia intorno alla quale ci si dovrebbe stringere con un certo automatismo per comprendere e risolvere i problemi della vita quotidiana, col presente scritto vorrei soffermarmi brevemente sul prezioso (e non sono polemica….ci credo davvero) regolamento dettato per l’ammissione ai campionati di serie A1/A2 Maschile e sui possibili interventi che potrebbero essere apportati da chi di competenza per preservare il futuro del movimento.

Forse non a tutti è noto che una  delle condizioni di ammissibilità ai campionati di Volley maschile di serie è la presentazione al momento della domanda di iscrizione annuale di una fitta documentazione attestante la situazione patrimoniale della società sportiva  tra cui il relativo conto economico, le garanzie prestate, l’elenco dei debiti e dei crediti esposti in bilancio, i debiti verso l’erario, copia del fascicolo relativo all’ultimo bilancio, la dichiarazione attestante l’avvenuta erogazione dei compensi ai tesserati della rosa della prima squadra e da ultimo una garanzia fideiussoria in favore della Lega e di importo variabile a seconda della percentuale di compensi effettivamente corrisposta agli atleti alla nella stagione precedente (il testo integrale del regolamento è facilmente reperibile al sito http://www.legavolley.it/

Alla luce della necessità di produzione della documentazione sopra descritta, appare alquanto incomprensibile come alla terza giornata il  CDA di un sodalizio ammesso come partecipante al campionato sia stato costretto a dimettersi per le “persistenti sofferenze economiche” vertenti sulla società.

Spesso in questi casi (al riguardo si richiamano le vicende che hanno interessato anche alcuni club partecipanti al campionato di volley femminile nella scorsa stagione) il capro espiatorio viene  individuato nei mancati apporti da parte degli sponsors.
A volte è vero. Altre volte purtroppo no.
Credo infatti che il problema dei dissesti finanziari vertenti sui sodalizi sportivi abbia radici più profonde.

Il movimento pallavolistico italiano, sebbene sulla carta risulti qualificato come dilettantistico, ha operato nel corso degli ultimi vent’anni anni sulla falsa riga del professionismo senza i dovuti ed indispensabili accorgimenti, creando un sistema di domanda e offerta al rialzo non alla portata di tutti e quindi totalmente sproporzionato rispetto agli effettivi mezzi (economici e non) a disposizione

Come già sottolineato in un mio precedente scritto che qui richiamo  (http://www.sportbusinessmanagement.it/2013/10/la-linea-di-confine-tra-professionismo.html)  auspico sempre che, prima o poi, intervenga il legislatore ordinario a disciplinare compiutamente la generale figura del lavoratore dello sport; è sotto gli occhi di tutti infatti che i dissesti finanziari dei sodalizi sportivi si ripercuotono principalmente (a volte esclusivamente) sugli atleti, sullo staff tecnico e sulle di loro famiglie.

Nell’immediato appare, pertanto, necessario intervenire a livello “domestico” cercando di  porre rimedio alle ingenuità (altri le definirebbero azioni meramente opportunistiche …..) poste in essere nel corso degli anni.

In tale ottica, ferme restando le possibili tutele già illustrate  nello scritto sopra richiamato,  potrebbe darsi vita a opere preventive basate sul principio di ridimensionamento economico; un primo passo è sicuramente quello già operato da alcune società sportive (vedi l’esempio lodevole della dirigenza della Lube Banca Marche Macerata ad inizio stagione) concernente la riduzione degli ingaggi dei tesserati con contestuale vincolo di parte percentuale degli stessi al raggiungimento di risultati sportivi positivi.

Ma, ad un livello gerarchicamente superiore, ben potrebbe invece disporsi  (visto che si opera sulla falsa riga del professionismo sportivo!) un sistema generale di “fair play finanziario” imponente un tetto di spesa per i club, così da precludere eventuali azioni di mercato sconsiderate e non surrogate da effettive risorse.

Tale sistema, citando Platini, è “un obiettivo con implicazioni di ampia portata come il benessere generale del calcio (nel nostro caso del volley), purché tutti i club giochino secondo le regole, soddisfino i criteri di fair play finanziario e raggiungano un bilancio sostenibile in modo che passione faccia rima con ragione.”
Qualche addetto ai lavori non condividerà, magari anche a ragione, il mio spirito giuridico rivoluzionario e di ridimensionamento ma, se in una tipica famiglia le sofferenze vengono con naturalezza suddivise e affrontate all’unisono da tutti i componenti, perché in quella grande famiglia che dovrebbe essere il Volley Italiano tali sofferenze devono essere sopportate sempre e solo dagli atleti, dallo staff tecnico e dalle rispettive famiglie?

Dott.ssa Federica Ongaro
Consulente legale sportivo e agente sportivo Lega Pallavolo Serie A.

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