Nuove frontiere per il business del calcio e i nuovi impianti come sinonimo di sostenibilità

Tesi di laurea di Andrea Vincenti
Titolo "Il business nel calcio  e il modello “B Futura”: vantaggi e opportunità di uno stadio moderno"
Anno accademico: 2012/13

CAPITOLO 1 - NUOVE FRONTIERE PER IL BUSINESS DEL CALCIO E I NUOVI IMPIANTI COME SINONIMO DI SOSTENIBILITÀ (un estratto)

Lo scenario internazionale e le nuove frontiere del business.
Nonostante l'aggravarsi della crisi mondiale dei mercati e la dura recessione che ha investito alcuni paesi calcisticamente trainanti, l'industria calcio ha confermato di essere abbastanza impermeabile alle tempeste finanziarie. Non che la sua sostenibilità sia migliorata, tutt'altro, specialmente nel calcio tradizionalmente d'elite e soprattutto per l'aumento dei costi che fanno da contraltare ad un costante e sorprendente continuo aumento dei fatturati.

Il prodotto-stadio si trasforma in tal modo in una struttura che richiede di essere gestita secondo nuove logiche di business che si fondano su criteri imprenditoriali moderni: l’impianto sportivo diviene un asset strategico per l’organizzazione. Rispondere con tempestività e flessibilità alle crescenti aspettative dei clienti e alla domanda di servizi di alta qualità è una priorità e richiede che l’industria degli stadi si doti di un management preparato. I clienti ricercano un coinvolgimento totale, un’esperienza a 360 gradi. Gli imprenditori del settore hanno la responsabilità di riuscire a sviluppare programmi di qualità all’interno degli stadi polifunzionali utilizzando tecniche manageriali “prese in prestito” dall’ambito imprenditoriale e commerciale.

E’ necessario un grande cambiamento di prospettiva che costringa il management degli stadi a relazionarsi con un mercato differente, non più legato alla mera attività sportiva ma che faccia riferimento ad un settore assai competitivo, quello dell’intrattenimento e della gestione del tempo libero. 

Il peso dominante dell'Europa, che resta il cuore pulsante dell'intero sistema, vede per la prima volta nella storia del calcio la sua  leadership minacciata dai nuovi orizzonti economici: le distanze tra i campionati dei paesi in via di sviluppo e le cinque top league europee restano assai rilevanti, ma i ritmi di crescita economica generale di alcune realtà (Brasile,Russia,Cina,Qatar,India), unite ad un corretto sfruttamento delle possibilità offerte dai grandi eventi in programma (campionati del mondo che si svolgeranno nel 2014 in Brasile, nel 2018 in Russia e nel 2022 in Qatar), potrebbero portare in un futuro abbastanza ravvicinato, a una riduzione del gap sportivo, economico e addirittura competitivo.

Dimentichiamoci il Brasile come lo abbiamo sempre storicamente visto e cioè come un serbatoio di giocatori da esportazione a disposizione dei club europei, ora non è più così. Il non tanto improvviso benessere del calcio brasiliano ha avuto negli ultimi anni un'evoluzione continua, collegata alla rilevante crescita economica del paese e al conseguente aumento del Pil pro capite.

Nei prossimi anni la situazione potrebbe, anzi dovrebbe ancora migliorare: 
le organizzazioni dei Mondiali del 2014 e delle Olimpiadi a Rio de Janeiro nel 2016 hanno messo in moto una massa di investimenti calcolata intorno ai 33 miliardi di euro.

Come non pensare a quello che potrebbe succedere in India quando si comincerà ad investire in sviluppo ed infrastrutture? 
E' stato calcolato in 160 milioni il numero degli indiani già frequentatori di stadi che offrono al momento scenari e spettacoli alquanto improponibili...
una base importante su cui poter costruire un business di un certo livello e proprio per questo la Fifa ha di recente aperto un ufficio sulla situazione.

La crescita di queste situazioni è stata l'elemento che, insieme all'ingresso dei grandi  capitali arabi in alcuni importanti club europei e all'introduzione del Financial Fair Play per le competizioni europee per club, in questi ultimi anni sta maggiormente modificando gli scenari di sviluppo internazionali.

Ma ci sono anche esempi negativi di investimenti di risorse, come  è successo in Cina e, in passato, negli Usa: il modello di business fondato quasi esclusivamente sull'importazione, attraverso imponenti investimenti, di giocatori in parabola discendente proveniente dall'estero è destinato fatalmente a non decollare se non è inserito in un più ampio progetto di sviluppo basato su competenze tecniche e soprattutto di management.  

Quando si può parlare allora di investimenti efficaci? Certamente quando questi ultimi vengono effettuati su programmi di sviluppo territoriali e sulla costruzione di nuovi impianti,strutture e infrastrutture all'avanguardia.

Analizzando una situazione come quella che troviamo in Russia dove, seppur la crescita dei fatturati e la capacità di attirare capitali e campioni stranieri non è andata di pari passo con l'aumento del pubblico negli stadi (solo lo Zenit di Sanpietroburgo e lo Spartak Mosca si attestano sopra i 20000 spettatori di media), la locale federazione è riuscita a creare una struttura capillare in grado di coinvolgere allo stesso modo tutte le regioni attraverso una serie di progetti di sviluppo legati soprattutto al calcio di base, con un notevole aumento di calciatori tesserati nelle scuole calcio.

Senza dimenticare che la Russia potrà sfruttare il traino di un grande evento come i Campionati del mondo del 2018 in cui sono previsti circa 19 miliardi di dollari di investimenti in stadi e infrastrutture: un occasione che sicuramente non si lascerà sfuggire per dare continuità al processo di sviluppo cominciato da qualche anno grazie alle opportunità economiche di magnati russi in cerca di pubblicità e potere.

In una situazione simile alla Russia, pur senza averne una storia calcistica minimamente paragonabile, si trova oggi un paese come il Qatar, cui la Fifa ha deciso di assegnare con larghissimo anticipo i Campionati del mondo del 2022, proprio per sfruttarne le disponibilità economiche che attualmente sono immense e soprattutto “football oriented” (vale la pena ricordare la sponsorizzazione del Barcellona da parte della Qatar Foundation, l'acquisto di club stranieri da parte della famiglia dell'Emiro Al Thani, l'acquisizione di diritti televisivi sempre più rilevanti da parte di Al Jazeera).

La quantità di patrimoni introdotti nel mercato hanno già consentito  l'ingaggio di calciatori di medio-alto profilo capaci di attirare le attenzioni del pubblico locale ma anche, e soprattutto, la costruzione di infrastrutture di eccellenza come l'Aspire, una vera e propria accademia dello sport che accoglie ragazzi dai 10 ai 18 anni provenienti dal Qatar stesso o scovati in Africa o in giro per il mondo e che è dotata di strutture calcistiche d'avanguardia e di un centro di medicina sportiva (Aspetar), già accreditato dalla Fifa come centro medico d'eccellenza.

Con disponibilità economiche diverse, anche altri paesi del Medio Oriente stanno lavorando per il futuro: in Iraq ci sono interessanti programmi per la ricostruzione delle infrastrutture e per lo sviluppo delle attività calcistiche, il tutto testimoniato dall'ottimo campionato del mondo categoria under 20 disputato dalla selezione irachena, vera e propria sorpresa della manifestazione svoltasi questa estate in turchia.

Anche in Iran e negli Emirati Arabi si sta lavorando nella stessa direzione con grandi investimenti pubblici, grande entusiasmo e nuovi impianti in arrivo.

In questo incoraggiante scenario di un panorama calcistico in via di sviluppo che si sta proiettando con forza verso il futuro cosa sta succedendo in Europa e soprattutto in Italia?

Il calcio professionistico europeo rappresenta indubbiamente un modello di business che da un punto di vista commerciale è assolutamente di successo anche in momenti come questi di stagnazione se non addirittura recessione generale, ma da un punto di vista economico e finanziario diventa con il passare del tempo sempre meno sostenibile.

Andrea Vincenti


Per contattare l'autore
andream.vincenti@gmail.com

1 commento

Alice - redazione Sportindustry.com ha detto...

Sono assolutamente d'accordo che ci vogliano nuovi stadi, ma il processo di riqualificazione o di costruzione delle strutture deve necessariamente procedere di pari passo con quel "grande cambiamento di prospettiva che costringa il management degli stadi a relazionarsi con un mercato differente, non più legato alla mera attività sportiva ma che faccia riferimento ad un settore assai competitivo, quello dell’intrattenimento e della gestione del tempo libero" citato nell'articolo. Io penso che la chiave di svolta sia lì; altrimenti puoi avere anche lo stadio più nuovo e più bello del mondo, ma se non lo sai sfruttare, rischia di diventare solo un bell'involucro vuoto.