Doping tecnologico, un nuovo nemico per il ciclismo

Non bisogna essere particolarmente informati in materia di ciclismo per essere al corrente del fatto che questo nobile sport è oggetto, da almeno un paio di decenni, di un attacco ai suoi valori più autentici, quelli della correttezza e della lealtà sportiva, che impongono, fra le altre cose, il divieto di utilizzare scorciatoie per ottenere migliori risultati, alterando artificialmente le proprie possibilità fisiche.
Sino ad oggi una simile eventualità era annoverata fra i casi di doping farmacologico, una piaga dalla quale, peraltro, pochi sport possono proclamarsi completamente immuni.
A quanto pare, tuttavia, esiste un nuovo pericolo per il ciclismo, visto che la scorsa settimana, nel corso dei mondiali di Ciclocross svoltisi a Zolder, in Belgio, un’atleta, la belga Femke Van Der Driessche, è stata trovata in possesso di una bicicletta dotata di un motorino interno.

E’ questo un tipico caso di doping tecnologico, sanzionato dal regolamento UCI*, l’Unione Ciclistica Internazionale, con la sospensione dell’atleta fino a sei mesi e una multa fra i 20mila e i 200mila franchi svizzeri. Per il team, l’italiana Wilier-Triestina, il rischio è di una sanzione pecuniaria fino a un milione di franchi svizzeri.

La vicenda è stata rubricata dai mezzi d’informazione come il primo caso di frode tecnologica, ma è davvero così? In realtà, scorrendo gli annuari, è possibile trovare sospetti casi di doping tecnologico già nel corso dell’edizione 2014 della Vuelta spagnola, con il caso Hesjedal.

In quell’occasione, il ciclista canadese era caduto dalla sua bicicletta nel corso della settima tappa del giro di Spagna, lasciando la sua bici a girare vorticosamente su sé stessa. Il caso non trovò conferme ufficiali, ma il video della caduta è piuttosto eloquente.



Ancora, tornando indietro nel tempo, durante il giro delle Fiandre del 2010, il ciclista svizzero Fabian Cancellara si rese protagonista di un episodio analogo, rimasto al centro di molte discussioni, anche se il doping tecnologico non fu mai provato. 

L’atleta effettuò un allungo clamoroso, quasi innaturale, sull’avversario Tom Boonen; anche in questo caso esistono riproduzioni video sull’accaduto, disponibili su internet.



Come in più occasioni osservato da autorevole dottrina**, le pratiche di doping si sviluppano più velocemente dell’adozione di normative antidoping, nel senso che vengono scoperti (e utilizzati) a stretti intervalli periodici sempre nuove metodologie per aggirare i controlli e falsare i risultati delle gare.
Oggi, come se non bastasse, lo spettro di un nuovo nemico dello sport aleggia nel mondo del Ciclismo. L’unico vantaggio è che questa volta non si parla di pratiche dannose per la salute degli atleti, bensì di alterazioni dello strumento di gara, un tema che resta comunque molto serio e il cui contrasto da parte dell’UCI va annoverato fra gli impegni più urgenti.

Avv. Carlo Rombolà



* Parte 12 “Disciplina e procedure”, paragrafo 12.1.013.bis “Frode tecnologica”.

** Cfr. Gerardo Russo, “Lo sviluppo tecnico normativo nella lotta al doping e l’impatto sul rilascio delle licenze World Tour UCI: il Caso Astana”, in Rivista di Diritto ed Economia dello Sport, Anno XI, Fascicolo 2/2015, pagg. 89-115.


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