Quale sarebbe potuto essere il destino della Liga alla luce della dichiarazione di indipendenza (unilaterale) catalana.


Il calcio, da molto tempo ormai, non è più soltanto uno sport ma anche un’azienda in continua espansione ed un fenomeno sociale. In Catalogna lo sanno molto bene, e i recenti sviluppi politici che hanno agitato l’intera regione, avrebbero potuto dettare ripercussioni notevolissime sull’esistenza della Liga Spagnola, così come siamo abituati a conoscerla.

In caso di secessione catalana, infatti, oltre a subire la separazione politica, la Spagna avrebbe ereditato anche quella calcistica, costringendo l’organizzazione dello sport nazionale ad un intervento di completo riordinamento.
La separazione, in altre parole, sarebbe valsa l’esclusione dalla Liga delle squadre di Barcellona, Espanyol e Girona (per citare le più rappresentative), le quali avrebbero potuto reagire dando vita ad un torneo catalano o affiliandosi ad una lega europea già esistente.

Ma quali sarebbero state, in effetti, le conseguenze di una simile prospettiva sotto il profilo economico, in campo nazionale e internazionale?
Proviamo a fare un po’ di ordine.
Sul fronte interno (o nazionale), inutile negarlo, sarebbe stato un disastro senza precedenti. Se esiste un campionato storicamente imperniato su un duopolio, questo è la Liga.
Dati alla mano, dalla stagione 1984-1985, ovvero in 32 anni (senza volere contare la stagione in corso), in 15 occasioni ha vinto il Barca - arrivando secondo per 10 volte - e in 13 ha vinto il Real, classificandosi secondo in 11 circostanze. Pertanto, quale sarebbe stato l’effetto dell’esclusione sopra citata è immediato immaginarlo e ridondante scriverlo. Benché Javier Tebas, Presidente della Liga, abbia dapprima diplomaticamente ammesso quanto il rischio della spaccatura in seno alla Primera Division sia concreto, e poi improvvidamente aggiunto che il contraccolpo sarebbe stato comunque assorbito nel medio periodo, è facilmente intuibile che l’ostentato ottimismo fosse figlio dell’orgoglio più che della convinzione.
D’altro canto, si può capire come un un uomo che ha gestito il proprio ufficio rivalutando la merce che vende (il prodotto Liga, appunto) fino a 636 milioni di euro, per il triennio 2016 - 2019, rimanga saldo e propositivo in qualunque circostanza.
Ma mettiamoci un momento nei panni dell’interlocutore commerciale: India, Cina, Usa che sia. Perché mai avrebbe dovuto accettare di pagare una cifra tanto alta per non godere piu’ dell’agone Barca - Real? Tolto questo alla Liga le hai tolto l’anima, il pathos.
Quedt'ultimo era un altro punto nodale. Come avrebbe potuto mai un torneo privato di una delle squadre più gloriose dell’universo, mantenere lo stesso appeal? Quella superstite, il Real, si sarebbe trovata di fronte alla difficile scelta di farsi promotrice di un’insolita quanto improbabile politica redistributiva delle risorse televisive che la Liga rende disponibili, a favore delle altre partecipanti per favorirne gli investimenti; oppure far quadrare i conti, tentando di mantenere la divisione dei proventi televisivi per com'era, e non frenare una slavina annunciata. In quest’ultimo caso, non sarebbe affatto stato semplice giustificare agli altri club il mantenimento di un “approviggionamento” tanto vantaggioso, in mancanza del presupposto di base della sfida a distanza con i catalani.
D’altra parte, il Barca avrebbe potuto chiedere "asilo” ad una delle federazioni europee dei paesi vicini, ovvero Francia, Germania, Inghilterra o Italia. Non è difficile immaginare che di fronte alla rarissima opportunità di arricchire a dismisura il proprio torneo (a discapito degli altri) con una semplice inclusione, la logica mercantilista sarebbe prevalsa. Conseguentemente, chiunque sarebbe stato disposto a fare ponti d’oro ai blau grana. Si immagini, tanto per speculare, il prodotto Premier League, già venduto per 1,3 miliardi di euro, impreziosito della presenza dei catalani, quali margini di profitto avrebbe potuto raggiungere.
Proiezioni simili, immaginiamo, sarebbero state una spinta sufficiente a mettere a tacere le voci di dissenso dei fanatici dell’ortodossia del calcio, fieri oppositori di qualunque modificazione nell’assetto dei campionati nazionali.
In altri termini, il Barca - con ogni probabilità - sarebbe stato ospite gradito di chiunque, e in quest’ottica, padrone assoluto del proprio destino, libero di scegliere come indirizzarlo.
A riprova dell’attendibilità di quanto detto, nel periodo più "incandescente", Beko si è mostrata fortemente interessata a rinnovare la propria sponsorizzazione con i catalani, per diventare il terzo sponsor per importanza, dietro Nike e Rakuten, versando nelle casse blaugrana fino a 80 milioni in 4 anni.
Approfondendo meglio: come già anticipato, la Catalogna indipendente avrebbe potuto varare un campionato interno. In questo caso, però, sarebbero state riprodotte esponenzialmente le stesse difficoltà che la squadra merengue, orfana della storica rivale, avrebbe dovuto affrontare. Dare valore ad una lega (di fatto) regionale sarebbe stato davvero difficile, richiedendo pianificazione, strategia e investimenti mirati. Sarebbe stato comunque, un processo macchinoso, laborioso e a lungo, lunghissimo termine. Nell’immediato, impossibile guardare a questa prospettiva come ad un’ alternativa valida e praticabile.
C'è da dire, altresì, che prima di adottare una soluzione simile, la neo lega nacional avrebbe dovuto affiliarsi alla FIFA, ottenendone il riconoscimento formale e consentendo così alle squadre partecipanti di giocare le coppe europee. In questo caso, i parametri FIFA e dunque il ranking, avrebbero obbligato le squadre catalane a cominciare dal quarto turno preliminare, al pari delle federazioni di Andorra e San Marino.
Ciò avrebbe costituito un serio ostacolo. Molto difficilmente i numerosissimi nazionali del Barcellona, avrebbero accettato di cominciare ufficialmente la stagione a fine Giugno (in coincidenza col 1 turno di Champions League).
La possibilità, invece, che i blau grana si affiliassero ad una federazione straniera, sarebbe prima dovuta passare dal vaglio di una commissione eletta ad hoc.
La squadra esule, sarebbe dovuto essere riconosciuta in grado di partecipare alle coppe europee da “esterna", in virtù di un antico e nobile lignaggio. La Champions League, in altri termini, avrebbe rischiato di perdere troppo della propria eleganza e della propria ricchezza (ricavi, introiti televisivi, indotto) se si fosse presentata ai nastri di partenza ed ai tifosi di tutto il mondo, in disordine e priva dei campioni catalani: c’è da pensare che una soluzione si sarebbe trovata.
Da ultima, la possibilità che la Lega Spagnola avesse insistito perché le crepe della politica non si fossero propagate al calcio, e la frattura sociale non si fosse consumata anche a livello sportivo, mantenendo unita la Primera Division, nell’interesse generale.
Si stima che da solo, il Barcellona, valga circa il 21% dell’intero fatturato della Liga e che insieme al Real, la percentuale salga al 43%. Numeri troppo ingombranti per non essere presi in seria considerazione dai club, prima di prendere qualunque decisione.
Come detto, se sull'onda dell'emotività nazional popolare, la Catalogna avesse deciso di varare un proprio campionato, avrebbe dovuto anche affrontare l'iter burocratico per affiliarsi alla FIFA, e sperare che al responsabile designato fosse stato riconosciuto il potere di firma, senza che le pressioni politiche interferissero nel processo di riconoscimento. Inutile sottolineare che si sarebbe trattato di un precedente pericoloso.
Viceversa, la sopravvivenza del club senza le entrate garantite dalla Champions League, sarebbe stato severamente compromesso.
Invero, qualunque scenario separatista avrebbe offerto nuovi equilibri, pur lasciando dietro di sé i cocci della rivoluzione avvenuta.
Sulla soglia del punto di non ritorno, ovvero quello della decisione finale, è offerto il solo vantaggio di intuire, senza schermi, quali sarebbero l’esito e le conseguenze.
Proprio per questo non si può escludere che alla fine dei giochi, chi è stato onerato della scelta, prendendo in prestito Tomasi di Lampedusa, abbia riflettuto sul fatto che alle volte, dopo tutto, è necessario che ogni cosa cambi perché resti tutto com’è.

Carlo Di Natale
carlomanfredidinatale@gmail.com

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