Scuola e sport per promuovere la cultura manageriale sportiva in ambito internazionale. Intervista a Dino Ruta, Head of Sport Knowledge Center per SDA Bocconi




All'interno di SDA Bocconi vi è una unità organizzativa, la Sport Knowledge Center (SKC) che coordina le iniziative della Scuola in tema di sport e promuove cultura manageriale sportiva in ambito internazionale.




Sport Business Management ha intervistato Dino Ruta, Head of Sport Knowledge Center per SDA Bocconi.


Come nasce l’idea di SDA Bocconi di realizzare un programma formativo insieme a NBPA, per giocatori NBA in attività?

L’idea nasce insieme a Matteo Zuretti, entrambi desiderosi di fare qualcosa di innovativo per la crescita degli atleti professionisti e dei loro talenti fuori dal campo. La NBPA sta facendo molto, e occorreva qualcosa con un respiro internazionale, da qui l'idea della International Business Academy per giocatori internazionali e domestici. La mia provocazione è che non esiste una dual career, la carriera è una. Prima gli atleti giocano e poi svolgono un ruolo diverso, come allenatori, dirigenti, imprenditori o altro ancora. Con questa prospettiva è loro interesse acquisire conoscenze mentre giocano, senza aspettare la fine della carriera (come dicono in molti).



Qual è il bilancio della seconda edizione di International Business Academy? Siete riusciti ad aggiungere valore alla proposta?

Si è creato un bel clima grazie all’impegno dei giocatori, professionisti in ogni cosa che fanno. In questa seconda edizione abbiamo aggiunto il tema della Cultural Agility, vale a dire come gli atleti riescono ad ambientarsi e a fare bene in contesti internazionali e multi-culturali. Se consideriamo che tutti i team NBA sono ormai internazionali, è una competenza utile a tutti i giocatori, americani e non.

Se tanti sono gli strumenti che le realtà accademica e aziendale possono fornire ai giocatori, quali pensi che siano le qualità che gli atleti di quel livello possono portare in questa conversazione tra mondi differenti?

Ce ne sono diversi, su tutti ne scelgo uno sul quale sto facendo ricerca: la mentalità vincente. Atleti professionisti hanno una marcia in più, atleticamente, tecnicamente e appunto mentalmente. Mi piace imparare a vedere il mondo come loro. Nulla è impossibile.

Questo tipo di iniziative sono replicabili per properties dello sport italiano? Ritieni che ci sia spazio per arricchire la proposta formativa agli atleti del nostro paese?

Certamente sì, questa iniziativa si può replicare in diversi Paesi e in diversi sport. Occorre trovare la medesima lungimiranza di Matteo Zuretti e del suo staff, e anche la disponibilità ad ascoltare ed imparare di Michele Roberts, Executive Director NBPA, che quest’anno ha seguito il programma tra i banchi accanto ai suoi giocatori.




Nelle tue diverse esperienze, sia accademiche che di consulenza sportiva, sei riuscito ad ottenere uno sguardo ampio sulle dinamiche dello sport globale. Quanto è difficile per un’organizzazione adattarsi rapidamente alle continue variazioni di contesto? Pensiamo all’evoluzione dei media, alle partnership immersive, ai nuovi mercati che si aprono.

Il mondo dello sport sta cambiando rapidamente in virtù del ruolo della Tecnologia. Come tutte le grandi evoluzioni, farà bene chi è in grado di far evolvere la propria cultura organizzativa, contaminandosi con mondi diversi e con nuove generazioni. Chi lo sta facendo sta raccogliendo già i primi risultati, e sicuramente gli USA sono più avanti di altri Paesi.

In questo contesto dello sport globale, quali sono le skills più richieste? E come devono studenti e atleti porsi rispetto a queste necessità?

Abbiamo già parlato della Cultural Agility e della Tecnologia. Questi due aspetti descrivono uno sport globale che sta cambiando rapidamente. Atleti, tecnici e dirigenti devono acquisire una visione diversa, si pensi ai social media, agli Internet-of-things, ai big data, e così via. Concetti nuovi che si devono integrare con l’evoluzione delle generazioni dei fan. Occorre essere aperti, sperimentare e girare il mondo, proprio come hanno fatto i giocatori NBA venendo in Italia. Non si finisce mai di imparare, ad ogni età.

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