Professionismo, diritti di immagine e tutele: il calcio femminile guarda al futuro


“Il calcio non è uno sport per signorine”.
Così recitava negli anni ‘80 il mediano della Pro Vercelli, Guido Ara, per sottolineare come il calcio fosse uno sport “maschio”, riservato esclusivamente agli uomini.
Pensiero, forse, legato ad un contesto storico in cui il calcio femminile faticava a decollare, in relazione ad una società da sempre alimentata da atteggiamenti e comportamenti di derivazione “patriarcale” che continuano a nascondere il loro male ad ogni tipo di medicina.
Ultimamente, però, le cose sembrano essere molto cambiate.
L’interesse verso il calcio in rosa è in continua crescita, come testimonia l’ampio seguito di importanti eventi internazionale, come la Coppa del Mondo FIFA femminile in Canada e le Olimpiadi di Rio.

Eventi che stanno sicuramente fornendo un contributo sempre più serio nella promozione delle quote rosa in ambito sportivo.
Come è noto dalla cronaca d’attualità, anche l’Italia si sta definitivamente allineando agli altri Paesi europei pionieri del soccer in rosa, come Olanda, Francia e Inghilterra.
A tale situazione di fatto, si deve necessariamente adeguare l’intero movimento e in questo senso va letto il provvedimento dei mesi scorsi, con il quale la FIGC si è presa carico dell’organizzazione dei campionati di Serie A e di Serie B di calcio femminile a discapito della LND, sino ad allora punto di riferimento del movimento calcistico femminile.
Le criticità del sistema, tuttavia, sono ancora lontane dall’essere risolte, come dimostrano gli ultimi sviluppi legali della vicenda.

Nei mesi scorsi è nata una vera e propria battaglia legale senza esclusione di colpi che ha visto contrapporsi le due leghe per l’organizzazione dei massimi tornei nazionali in rosa e, di fatto, per il controllo del movimento.
In aggiunta, si consideri pure che dalla stagione corrente i diritti della Serie A femminile (torneo, come anticipato, ampiamente rimaneggiato e con un’immagine ed un logo nuovo) sono stati acquisiti da Sky (insieme a quelli della Coppa Italia e della Supercoppa Italiana), con un sicuro ritorno di visibilità inimmaginabile fino a pochi anni fa.
Da una parte c’è la FIGC, che nella figura di Roberto Fabbricini quale commissario straordinario, a maggio scorso, aveva deciso di far passare già dalla stagione 2018/2019, la Serie A e la Serie B femminile, dal Dipartimento Calcio Femminile della Lega Nazionale Dilettanti alla sua gestione diretta.

In un primo atto di questa vicenda, la LDN ha presentato un ricorso.
Parallelamente, tutte le società di Serie A femminile hanno emanato un comunicato congiunto, nel quale hanno sottolineato l’importanza di un cambio di rotta.
Anche in virtù di questo, il Tribunale Federale Nazionale, ha rigettato il ricorso e lasciato in mano alla FIGC la competenza della Serie A e B femminile.
Nonostante queste ragioni palesate, tuttavia, la Lega Nazionali Dilettanti non si è arresa e si è rivolta alla Corte Federale d’Appello, la quale ha annullato la delibera del commissario straordinario della FIGC del 3 maggio scorso e ha accolto il ricorso della LND.
Il braccio di ferro è continuato.

La FIGC ha, infatti, impugnato il provvedimento della Corte Federale di Appello asserendo che “la FIGC rimane convinta della legittimità dell’inquadramento della divisione femminile all’interno della propria struttura, scelta finalizzata alla crescita dell’intero movimento, come dimostrato dalle ultime attività sviluppate dalla Federazione".
Il verdetto del CONI ha ribaltato la sentenza della Corte Federale di Appello, statuendo che i campionati di Serie A e B tornano sotto l’egida della FIGC, mentre il campionato interregionale resta alla Lega Nazionali Dilettanti

La decisione del CONI* si spera apra le porte ad una nuova mentalità verso lo status delle donne nel calcio e porti ad una profonda riforma dello sport in generale: considerare, ancora, le atlete solo dilettanti rispetto agli uomini è legata alla risalente (e sotto molti aspetti anacronistica) Legge 91 del 1981 che all’art. 2 stabilisce che “sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico – sportivi e i preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso, con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal Coni e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni Sportive Nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal Coni per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”.

Nella pratica, a decidere quali discipline sportive debbano essere considerate professionistiche o meno è il CONI, in collaborazione con le Federazioni Sportive Nazionali.
A 37 anni dall’entrata in vigore di questa legge, tuttavia, il CONI non ha ancora chiarito cosa distingua l’attività professionistica da quella dilettantistica e questa mancanza di chiarezza ha determinato, negli anni, una grave discriminazione, penalizzando molti atleti, in particolare le donne.
Con il risultato paradossale, per cui le atlete italiane, che spendono il medesimo tempo dei loro colleghi uomini in palestra o sui campi da gioco, pur a parità di dedizione e impegno, non sono riconosciute come professioniste.
Precisamente, per gli atleti considerati dilettanti, gli accordi non possono prevedere uno stipendio mensile ma solo un rimborso spese.

Le conseguenze, come anticipato, sono gravi.
Spesso non è prevista un’assicurazione sanitaria, se non per volontà dell’atleta che stipula un’assicurazione personale; in caso di infortunio le spese per cure e riabilitazione sono a carico dell’atleta.
Non è previsto il pagamento dei contributi pensionistici e non vi è tutela in caso di maternità ed invalidità.
Inoltre, per l’atleta dilettante esiste ancora il Vincolo Sportivo, abolito, invece, per i professionisti con la medesima Legge 91 del 1981.
A rendere tutto ancora più drammatico è la diffusione, nella prassi, di clausole “anti-gravidanza", che vengono inserite nei contratti fatti firmare dalle atlete e che prevedono la rescissione automatica del contratto in caso di maternità.
In conclusione, il sistema necessita in maniera particolare di essere ammodernato e la crescita esponenziale dei numeri del business legato al calcio in rosa, ai diritti di immagine delle atlete e a quelli audiovisivi delle leghe sta facendo emergere sempre più le mancanze di un sistema che nel prossimo futuro subirà certamente profonde trasformazioni.

Claudia Di Biase
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Domenico Filosa
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