Sponsorizzazioni improbabili: brand che sarebbe strano vedere sulle maglie da calcio
Nel calcio moderno, gli sponsor sono diventati parte integrante del paesaggio visivo, economico e culturale dello sport. Basti pensare a club storici come il Barcellona, che per anni ha rifiutato qualsiasi sponsor sulla maglia, per poi cedere all’accordo con Qatar Foundation, e più tardi con Spotify, che sta contribuendo significativamente alla costruzione del nuovo stadio. Il logo sul petto non è solo una questione di soldi (anche se, va detto, spesso si tratta di cifre astronomiche), ma di identità , narrazione e strategia di posizionamento del brand.
Alcuni marchi sono riusciti a intrecciarsi talmente bene con il calcio da sembrare nati per quello: pensiamo a Emirates, Heineken o Nike. Cosa accadrebbe però se a sponsorizzare una squadra di calcio fossero brand noti e rispettati, ma assolutamente fuori contesto? Scopriamo in questo articolo di bizzarre ipotesi pubblicitarie!
Sicuri per i pagamenti: e nel calcio?
Tra i brand che, pur essendo estremamente rilevanti a livello globale, risulterebbero curiosi su una maglia da calcio, c’è PayPal. Nonostante sembri fuori luogo nel mondo sportivo, è impossibile negare il suo ruolo centrale nel panorama digitale, in particolare nel settore del gioco online, dove rappresenta uno dei metodi di pagamento più sicuri e apprezzati: sono davvero molti infatti i casinò che accettano PayPal come modalità di deposito e prelievo. È un esempio perfetto di come un brand possa essere assolutamente “mainstream”, ma avere un posizionamento che difficilmente si sposa con l’immaginario sportivo tradizionale.
Quando l’amore scende in campo
Immaginate una maglia della Juventus, elegante in bianco e nero, con il logo di Tinder ben in vista. Potrebbe essere la realizzazione di quanto cantato nell’inno “Juve, storia di un grande amore”, ma ci sarebbe qualcosa di stonato. O magari un derby milanese con l’Inter targata Bumble.
A livello di notorietà e diffusione, le app di dating hanno numeri da capogiro: milioni di utenti attivi, brand awareness ai massimi livelli e un pubblico giovane, anche il numero di iscritti è in calo nella generazione Z. L’idea di accoppiare (letteralmente) il romanticismo spiccio del “match” a una disciplina dove il concetto di “fedeltà alla maglia” è ancora sacro, lascia il tempo che trova. Certo, sarebbe un’esplosione di ironia nei cori da stadio, ma forse non è il tipo di visibilità che i team cercano davvero.
Sponsor extra-calorici
Alzi la mano chi non ha mai sognato un panino di KFC dopo una partita. Oppure chi non ha mai ceduto al fascino delle patatine Pringles guardando una finale di Champions League. Eppure, immaginare una squadra sponsorizzata da brand di junk food ipercalorici suona strano, se non addirittura paradossale. Lo sport vende salute, performance, disciplina. Un logo di Ben & Jerry’s sul petto di un centrocampista affaticato al 90°? Gustoso, ma improbabile.
Meditazione e contropiede
L’equilibrio interiore è fondamentale nello sport, ma vedere il logo di Headspace o Calm, app di meditazione e benessere mentale, campeggiare su una maglia da calcio, fa un certo effetto. Il contrasto tra la frenesia del campo e la calma zen di queste app è quasi poetico, ma anche dissonante.
Quando l’amministrazione entra in campo
Brand come SAP, Salesforce o Zucchetti sono colonne portanti nel mondo del business, ma vedere il loro logo su una maglia in Serie A fa pensare più a un corso di aggiornamento aziendale che a un contropiede fulminante. Eppure, queste aziende investono nello sport, spesso come partner tecnologici, solo che per diventare protagonisti dell’estetica da stadio, il passo è lungo… e decisamente improbabile.
Non tutti i brand sono fatti per scendere in campo
Da questa analisi emerge che non tutti i brand, sebbene famosi e affidabili, sono fatti per il calcio. Alcuni funzionano perfettamente nel loro habitat naturale, senza bisogno di comparire sulle maglie dei giocatori. In un mondo dove tutto è monetizzato, resistere alla tentazione della visibilità a tutti i costi può essere una scelta vincente. Del resto, non tutti i campioni vestono i tacchetti: si può dominare il proprio campo... senza nemmeno toccare un pallone.
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