Che fine ha fatto la Super League? Cronistoria di un fallimento annunciato



Nel 2021 doveva inaugurare una nuova era del calcio europeo. Invece, la Super League è diventata in poche ore il simbolo di una ribellione rientrata, travolta da proteste e retromarcia politica, sportiva e popolare. A distanza di anni, con qualche sussulto legale e un rebranding comunicativo, il progetto sopravvive più come oggetto di dibattito che come realtà concreta. Oggi, alla prova dei fatti, appare in “standby” permanente — se non, più semplicemente, irrealizzabile.

Le 48 ore che cambiarono (di nuovo) il calcio europeo

Il 18-20 aprile 2021 dodici club fondatori - tra cui Real Madrid, Barcellona e Juventus - annunciarono la nascita di un torneo chiuso, pensato per garantire stabilità di ricavi ai “grandi” e offrire più sfide di cartello. La risposta fu immediata: tifosi in piazza, allenatori e giocatori perplessi, pressioni da governi e autorità sportive. Nel giro di due giorni le società inglesi si sfilarono, innescando un effetto domino che lasciò il progetto privo della sua colonna portante. La narrativa iniziale — “più qualità, più sostenibilità, più spettacolo” — non resse all’impatto con il principio meritocratico che regge la piramide calcistica europea e con la percezione, diffusa, di una competizione elitaria costruita sopra le leghe nazionali.

La parentesi giudiziaria: vittorie sulla carta, stallo nella realtà

Gli sviluppi legali successivi hanno spesso alimentato titoli ottimistici da parte dei promotori, ma nella pratica non hanno aperto autostrade. Le sentenze europee hanno criticato i sistemi di autorizzazione preventiva così come formulati, chiedendo cornici più trasparenti e non discriminatorie. È un passaggio importante sul piano regolatorio, ma non equivale a “dare il via” alla Super League. In parallelo, alcuni tribunali nazionali hanno imposto alle istituzioni calcistiche di evitare comportamenti anticoncorrenziali. Anche qui, però, il risultato è procedurale: definisce come si debba decidere, non che cosa si debba decidere. Serve comunque un torneo credibile, un calendario compatibile, contratti tv, sponsor, sedi, sicurezza. E serve soprattutto l’adesione dei club più seguiti.

Il fronte dei club: riallineamenti e isolamenti

Dopo l’incendio del 2021, molte società hanno ricucito i rapporti con l’establishment europeo. La Juventus ha imboccato la via del rientro nell’ecosistema dei club che collaborano con UEFA; altri hanno tagliato i ponti con l’idea originaria o si sono limitati al silenzio, segno che la convenienza politica e industriale stava altrove. Oggi i club storicamente più esposti sul progetto rimangono isolati rispetto a una massa critica ormai di nuovo coesa. Questo isolamento pesa: senza inglesi e senza un blocco significativo di top team tedeschi, italiani e francesi, la promessa di un torneo “di vertice” perde il suo valore di mercato e la sua attrattiva globale.

La risposta UEFA: riformare per assorbire le critiche

La UEFA non è rimasta ferma. Dal 2024/25 la Champions League adotta un format a “lega” ampliata, con più partite garantite e un sistema di qualificazione che cerca di tenere insieme meritocrazia e appetibilità commerciale. È una risposta politica e di prodotto: più contenuti premium per broadcaster e sponsor, più ricavi da distribuire, più certezze di calendario per i club. In pratica, molte delle rivendicazioni usate come cavallo di battaglia dalla Super League sono state rielaborate dall’interno, senza strappi. Questo ha tolto ulteriore spinta alla narrativa “riformista” dei promotori e ha rafforzato la centralità delle coppe UEFA nel palinsesto stagionale.

I vincoli politici e regolatori: la Premier come ago della bilancia

Un altro fattore decisivo è arrivato dai governi nazionali. Il Regno Unito ha introdotto un quadro di vigilanza specifico sul calcio professionistico, con un regolatore indipendente e paletti pensati anche per impedire fughe “separatiste” dei club di Premier League. Dal punto di vista industriale, perdere le inglesi significa rinunciare a parte importante del mercato televisivo globale e del traino mediatico. Senza la Premier, il prodotto Super League faticherebbe a raggiungere quel livello di audience e sponsorizzazioni che ne giustificherebbe l’esistenza, rendendo più difficile convincere gli altri grandi campionati a seguirla.

Il presente: rebranding, promesse di streaming, poche adesioni

Per uscire dall’angolo, i promotori hanno proposto riformulazioni del progetto con nomi diversi, strutture a più divisioni e retorica inclusiva (promozioni, retrocessioni, accesso più ampio). Tra le promesse, anche quella di rendere gratuiti i contenuti in streaming, appellandosi a un pubblico giovane e digitale. Ma le idee restano appunto idee: senza adesioni formali, un calendario definito e contratti commerciali solidi, la Super League è rimasta un concept deck. Nel frattempo, UEFA e leghe nazionali hanno proseguito con i bandi per i diritti e con la pianificazione pluriennale, occupando gli spazi economici e logistici che un concorrente dovrebbe necessariamente contendere.

Perché oggi la Super League è (quasi) impossibile

Manca la massa critica: non ci sono abbastanza club disposti a esporsi. 

Manca la finestra di calendario: in una stagione già compressa da coppe, campionati, nazionali e Mondiali per club, aggiungere un torneo parallelo significa sacrificare qualcosa e aprire conflitti con leghe e broadcaster. 

Manca il consenso sociale: tifoserie, federazioni e istituzioni politiche hanno dimostrato un rigetto forte verso progetti percepiti come scissioni dall’ordinamento sportivo. 

Manca la certezza giuridica ed economica: persino con norme più chiare sulla concorrenza, nessun tribunale può garantire pubblico, sponsor e stabilità economica a un torneo che non esiste ancora.

E il calcio giocato? Centralità del campo e dell’offerta UEFA

Intanto si gioca, e questo conta. Il nuovo format delle competizioni europee ha ampliato l’offerta, moltiplicando big match e storie da seguire settimana dopo settimana. In questo ecosistema, l’attenzione mediatica si divide tra analisi tattiche, ranking, calendari e discussioni sui diritti tv. Accanto a tutto questo si sono affermati fenomeni paralleli, dal fantacalcio alle piattaforme che permettono di consultare le quote per le scommesse sportive su siti specializzati come DomusBet, insieme a un crescente interesse per statistiche avanzate e dati di performance. Ma la centralità resta il campo: i risultati sportivi continuano a determinare accessi, premi e reputazioni, confermando quel principio di merito che la Super League, nel suo impianto originario, sembrava voler relativizzare.


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