Le determinanti delle performance delle società calcistiche: un’analisi resource-based

Tesi di Laurea di Carlotta Assetta
Titolo "Le determinanti delle performance delle società calcistiche: un’analisi resource-based"
Anno accademico: 2013/14



CAPITOLO 4 - RISULTATI SPORTIVI E PERFORMANCE FINANZIARIE (un estratto)


4.1 Introduzione
Il fulcro dell’analisi proposta in questo capitolo è la relazione tra risultati sportivi ed economici che spesso risulta determinante per il successo della politica gestionale di un club.
Le società calcistiche, come del resto tutte le imprese, hanno bisogno di fondi per coprire e finanziare le proprie spese. Questi fondi possono provenire, come visto precedentemente, da diverse fonti quali gli incassi da stadio, i diritti televisivi, il merchandising, gli sponsor e le plusvalenze registrate nella vendita dei calciatori, ma se il fatturato non è abbastanza alto, allora la maggior parte dei club dovrà ricorrere all’indebitamento. In questo senso si può affermare che maggiore è la ricchezza di un club, maggiore è la sua capacità di spendere denaro e, di conseguenza, la probabilità che questo consegua risultati migliori sul campo è più alta.

Patrick Murphy ha analizzato nel 1999 la relazione che intercorre tra prestazioni sportive e la crescente ricchezza del calcio inglese e scozzese. Egli parte dall'idea diffusa che la concentrazione di ingenti risorse economiche si rifletta inevitabilmente sul terreno di gioco e, quindi, nella classifica del campionato. Nel suo lavoro, oltre a questa principale ipotesi, ha voluto testare l’esistenza o meno di un divario tra i club più ricchi e più poveri del campionato di calcio inglese e di quello scozzese. I suoi risultati non negano una correlazione crescente tra risorse finanziarie e prestazioni sportive (misurate principalmente dalla posizione finale in campionato), tuttavia, non vi sono chiare indicazioni che l'accumulo di risorse finanziarie nel tempo abbia ampliato il divario tra i club.

El Hodiri e Quirk (in “An economic model of a professional sports league”,
Journal of Political Economy, Vol. 79) affermano che i ricavi di una società sportiva aumentano proporzionalmente alla percentuale di vittorie della stessa, ma ad un certo punto (quando questa raggiunge una soglia superiore al 50 per cento) i ricavi subiscono una veloce ricaduta, in quanto troppe vittorie conducono al verificarsi del paradosso di Louis-Schmeling, in linea con il già citato principio del competitive balance.

Secondo Hoehn e Szymanski questo equilibrio competitivo viene intaccato dal crescente numero di partite giocate nelle competizioni internazionali e dai conseguenti introiti percepiti dalle squadre. Il meccanismo che è alla base di questa tesi è che se l'importanza della competizione europea aumenta allora, il livello degli investimenti delle squadre che partecipano alle competizioni internazionali crescerà allo stesso modo. Se questo fatto contribuisce a mantenere un equilibrio competitivo nell'Eurolega, le squadre più piccole nei campionati nazionali sono lasciate indietro e i campionati interni divengono sempre meno equilibrati. Infatti, il club che compete sia a livello nazionale che europeo sarà in grado di conseguire un flusso di profitti molto più grande e, di conseguenza, disporrà di un budget maggiore per attirare talenti rispetto alla squadra che compete solo a livello nazionale. Diversamente Haan et al.174 spiegano il fatturato totale in base alle vendite dei biglietti e abbonamenti di un club, una conseguenza del reddito derivante dal livello di talento sul campo della squadra.

Alla luce di questo background teorico, siamo in grado di sostenere l'esistenza di un rapporto che potrebbe costituire un circolo virtuoso: buone prestazioni sportive implicano un maggiore fatturato e fondi che possono essere investiti sul miglioramento dei risultati sportivi stessi.
In accordo con le idee appena presentate, ci proponiamo di verificare empiricamente se nel calcio europeo migliori prestazioni sul campo significano maggiori ricavi, e quali sono le risorse determinanti al raggiungimento di tale posizione di vantaggio competitivo.

4.2 Relazione tra risultati sportivi e spesa per stipendi
La condizione necessaria per dar luogo ad un vantaggio competitivo, va individuata nella combinazione di due fattori: la presenza di competenze distintive difficilmente replicabili dai concorrenti, e la conseguente capacità dei manager di trasmettere dette competenze al sistema di prodotto che viene offerto dal mercato.
Le competenze distintive rappresentano, per loro natura, delle caratteristiche eccezionali possedute dalle imprese e creano, dunque, il potenziale per una migliore performance. Tuttavia, per produrre risultati superiori, queste devono essere coltivate e sviluppate.
Nell’industria calcistica, tra le risorse necessarie per poter competere al meglio, rivestono un ruolo determinante le persone che, con ruoli diversi, prestano la propria opera all’interno della società. L’obiettivo dell’azienda calcistica deve essere, quindi, il mettere insieme una compagine di persone giuste, nell’ambito di un progetto coerente*. Diversamente da quanto accade nella maggior parte delle industrie, quella calcistica offre un numero molto limitato di individui con le competenze tecniche necessarie per la “produzione” del prodotto calcio: i giocatori e gli allenatori. Ma entrambe queste risorse hanno un limite, quello di essere reperibili nel mercato. In questo caso, se il mercato fosse perfetto, sarebbe ragionevole aspettarsi che il prezzo per acquistare la risorsa sia pari al flusso di extraprofitti attesi dalla stessa, attualizzati ad oggi*.

Dunque, l’acquisizione di tale risorsa non recherebbe alcun beneficio economico al club che se l’assicura perché tutto il vantaggio (l’extraprofitto atteso) sarebbe stato già pagato con il prezzo d’acquisto. Pertanto, il vantaggio competitivo associato ai calciatori e agli allenatori è frutto di aspettative diverse, circa il loro valore, che derivano spesso da asimmetrie informative, o anche dalla fortuna*.


Il livello di performance agonistica di un club calcistico, dunque, è in gran parte determinato dalla quantità di denaro spesa per l’acquisizione dei calciatori e dall’entità dei loro salari. L’assunto della nostra analisi è che le squadre che spendono di più per l’acquisto e per il mantenimento dei giocatori migliori, ottengono una migliore posizione in campionato.

Nella Tabella qui sotto sono riportate le posizioni in classifica alla fine del campionato di Serie A 2013/2014 e il monte stipendi pagato dai club per la medesima stagione.



La capolista Juventus si è aggiudicata il campionato con 17 punti di scarto sulla Roma, spendendo circa 115 milioni di euro di ingaggi contro i 92,5 milioni di euro della seconda. In questo senso la Roma ha registrato una performance migliore rispetto a quella che si poteva prevedere prendendo in considerazione la spesa del club per gli stipendi. 
Ma il club più virtuoso da questo punto di vista è stato il Parma che, con un monte ingaggi di 29,5 milioni di euro (quasi quattro volte inferiore a quello della Juventus), ha concluso la stagione 2013/2014 al 6° posto. Discorso opposto per il Bologna che al 9° posto della classifica delle squadre di Serie A che hanno sborsato di più per gli stipendi dei giocatori (per un totale di 29,6 milioni di euro), si è classificata in penultima posizione retrocedendo in Serie B. 

Ovviamente, è opportuno evidenziare che in caso di performance migliori o peggiori del previsto, queste possono essere influenzate da altri fattori come la fortuna, gli infortuni, il cambio di un allenatore e errori arbitrali. Graficamente la relazione tra posizione in campionato e spesa per gli stipendi è rappresentata nel modello di regressione lineare del Grafico seguente.



In questo tipo di modello si assume che il valore atteso di una variabile Y sia funzione del valore assunto dalla variabile X, definendo così un legame in media fra le due variabili. Nella nostra rappresentazione la posizione in campionato costituisce la variabile dipendente Y, mentre il monte stipendi rappresenta la variabile indipendente X. In particolare, nei modelli di regressione lineare si assume che il valore atteso della Y si trovi proprio sulla retta di regressione. Se non ci fosse nessun altro fattore ad influenzare la performance agonistica e in assenza dell’elemento fortuna, tutte le squadre si collocherebbero sulla retta di regressione. Tuttavia, dal momento che la relazione tra le due variabili non è perfetta, nessuno dei punti che esprimono la combinazione di spesa e posizione in classifica si trova esattamente in corrispondenza della retta di regressione. Una misura della prossimità dei punti alla retta si chiama R2, e più il valore di R2 è prossimo ad 1, più la relazione tra le due variabili è perfetta.* Nella nostra analisi il valore di R2 è pari a 0,586 il che significa che quasi il 59 per cento della variazione nella posizione in campionato è spiegata dalla variazione negli stipendi.
E’ possibile fare un’altra osservazione circa il grafico: le squadre che si trovano al di sopra della retta di regressione hanno registrato una performance migliore di quella che poteva essere prevista prendendo come riferimento la loro spesa per stipendi (Parma fra tutti segnalato in verde nel grafico, seguito da Torino e Fiorentina), mentre i club che si trovano al di sotto della retta sono quelli che hanno registrato una performance peggiore del previsto (Bologna fra tutti segnalato in rosso nel grafico, seguito da Livorno e Milan).

4.3 I “circoli virtuosi” dei grandi e piccoli club
Nel paragrafo precedente si è visto come l’accesso a giocatori di talento superiore rappresenti sicuramente una condizione necessaria per l’ottenimento di performance sportive migliori. Tuttavia, rimangono da spiegare ancora due questioni, e cioè: perché, a parità di spesa per l’acquisto e per il mantenimento dei giocatori, alcune squadre ottengono risultati agonistici migliori di altre e perché alcune squadre ottengono risultati sportivi di gran lunga superiori alla loro dotazione di risorse.
Prendendo spunto dall’idea di “circolo virtuoso” proposta da Lago et al., in Figura 4.3 è rappresentato il circolo virtuoso delle grandi società di calcio che competono sia in ambito nazionale che internazionale.
La disponibilità di ingenti risorse finanziarie permette a questi club di acquistare giocatori di talento superiore che, come abbiamo visto, sono un elemento determinante nel raggiungimento di traguardi sportivi.



Ovviamente l’acquisto di giocatori di talento, e quindi la creazione di team competitivi, non conducono necessariamente al successo sportivo (come è successo al Milan la scorsa stagione, in cui nonostante il monte stipendi fosse il secondo più alto del campionato si è classificato all’8° posto rimanendo escluso da tutte le competizioni europee). Il successo, infatti, dipende strettamente dalla concorrenza: tanto maggiore sarà la concorrenza, tanto più difficile sarà ottenere il successo. Inoltre, i risultati sportivi si trasformano in entrate effettive nella misura in cui il club dispone di un vasto pubblico potenziale ed è in grado di sfruttare tutte le opportunità commerciali. 

Nella Tabella 4.4 sono riportate le stime, realizzate da AREL e Pwc circa l’impatto medio economico dalla partecipazione alla Champions League e all’Europa League.



Il campionato italiano è ancora molto arretrato in questo senso rispetto a quello inglese, tedesco e spagnolo. Ciò comporta ricavi minori rispetto a quelli potenzialmente ottenibili dalla prestazione sportiva, e quindi un netto svantaggio competitivo rispetto ai club internazionali che sanno monetizzare pienamente il proprio successo sportivo. 

In Figura 4.6, invece, è rappresentato il quadro complessivo dei fatturati, con la relativa ripartizione per fonte.

Real Madrid e Barcellona ormai da anni, guidano la classifica delle società di calcio col fatturato più elevato al mondo. Entrambi i club spagnoli hanno registrato una diminuzione delle entrate commerciali rispetto alla stagione 2010/2011, compensate però dall’aumento delle entrate da botteghino e da quelle dei diritti televisivi. E’ interessante notare come questi ultimi rappresentino la principale fonte di ricavi per i club della Liga spagnola (in Spagna permane il regime di contrattazione individuale dei diritti tv), e per quelli di Serie A. Nel caso della Juventus, infatti, i diritti tv rappresentano il 61 per cento delle entrate, nell’Inter il 48 per cento, nel Milan e nella Roma il 53 per cento. Tra le squadre italiane, però, solo la Juventus sembra essere al passo con le società più ricche al mondo, non a caso è l’unica in Serie A ad avere lo stadio di proprietà. I bianconeri nel giro di due stagioni sono passati dal 13° al 9° posto, scavalcando il Milan (sceso in due stagioni dal 7° al 10° posto).



Ottima la performance del Bayern Monaco che supera il Manchester United e sale al 3° posto della classifica. Il modello tedesco, infatti, si sta affermando impetuosamente non solo sul campo, ma anche nei conti economici. L’incremento di 160 milioni di euro nei fatturati delle prime quattro squadre tedesche ne è una valida testimonianza. 

Sicuramente gran parte di questa crescita è spiegata dalla straordinaria annata e dai successi in Champions League di Bayern Monaco e Borussia Dortmund, ma se prendiamo in considerazione club come l’Amburgo (al 17° posto della classifica dei fatturati) che non partecipano da anni in Champions League, è chiaro come siano proprio gli investimenti nelle infrastrutture, le politiche commerciali efficaci e gli stadi sempre pieni a rappresentare la ragione principale di tale successo.

Il caso più delicato è quello del Paris Saint-Germain classificatosi al 5° posto con 398,8 milioni di euro di fatturato. Innegabile la crescita complessiva del club parigino che in un anno ha scavalcato ben cinque posizioni, ma a pesare in maniera determinante sul fatturato del Paris Saint-Germain è l’accordo di sponsorizzazione del valore di circa 200 milioni d’euro della Qatar Tourist
Authority, finito, infatti, sotto inchiesta dall'UEFA.

L’avvento di investitori stranieri (russi, arabi, cinesi e americani su tutti) spesso legati a grandi gruppi industriali, ha fatto sì che molti club sotto queste proprietà godano di risorse finanziarie quasi illimitate. Questi possono permettersi di investire anche quando il circolo virtuoso di cui sopra non venga innescato182, e il rendimento di tali investimenti deve essere misurato in termini delle esternalità positive in termini di immagine, comunicazione, visibilità e pubbliche relazioni.


Discorso del tutto diverso quello che riguarda i “piccoli club”, ossia le provinciali con un minore bacino d’utenza, che lottano per la permanenza o la promozione nella massima serie. Da un punto di vista economico-finanziario, infatti, l’attività e gli obiettivi delle provinciali sono molto diversi da quelli dei grandi club. Un modello di strategia competitiva attuato dai piccoli club è rappresentato in Figura 4.7.



Questo modello di circolo virtuoso comincia con la selezione di giovani talenti cresciuti nei propri vivai o acquistati a poco prezzo dalle serie minori di tutto il mondo. 
Le due realtà italiane che eccellono in questo contesto sono l’Udinese Calcio e l’Atalanta. La valorizzazione dei giovani calciatori è uno dei pilastri su cui si fonda il Progetto Udinese Academy che, attraverso i suoi tecnici e i suoi osservatori qualificati, ha creato una struttura di scouting, che rappresenta un modello di eccellenza a livello mondiale, in grado di monitorare il movimento calcistico giovanile a livello nazionale e internazionale per scoprire e valorizzare i giovani talenti.183 Stesso discorso vale per l’Atalanta, dove nella cantera della società si selezionano giovanissimi ragazzi per portarli fino alla prima squadra. Il club bergamasco può contare undici squadre dalla primavera fino ai pulcini con un investimento di circa 2 milioni di euro all'anno nel vivaio.

Ritornando al nostro circolo virtuoso, il passo successivo alla selezione di giovani promesse, è quello di metterle insieme per creare una squadra competitiva e raggiungere i risultati prefissati: la permanenza o la promozione nel massimo campionato. Se l’obiettivo è raggiunto, il club può contare su maggiori introiti provenienti dai diritti televisivi e dalla vendita di biglietti d’accesso allo stadio e degli abbonamenti. Per dare un’idea dell’incidenza della performance sportiva su quella finanziaria dei club, in Tabella 4.8 è rappresentata la stima realizzata da AREL e FIGC sull’impatto economico medio che la promozione dalla Serie B alla Serie A ha su una squadra.



Un’altra voce di ricavo è relativa alle sostanziose plusvalenze registrate da questi club per la cessione dei giocatori che hanno brillato nell’ultima stagione dando un contributo fondamentale per la salvezza o la promozione. La vendita di Alexis Sanchez, Gökhan Inler e Alexis Zapata ha significato per l’Udinese ben 65 milioni di euro di plusvalenza, il trasferimento di Samir Handanovic all’Inter ne è valso, invece, un guadagno di 18,9 milioni di euro. Ma sono tantissime le squadre provinciali che hanno venduto i loro top performer alle Big realizzando delle vere e proprie fortune, la più recente trattativa nel calciomercato italiano è quella relativa a Juan Manuel Iturbe acquistato a Luglio 2014 dalla Roma versando 25 milioni di euro nelle casse dell’Hellas Verona.184 In sostanza, è chiaro come le squadre provinciali, a differenza dei grandi club, siano molto più attente al loro profilo economico-finanziario. Questo perché molto spesso i proprietari di queste squadre sono dei piccoli imprenditori che non possono permettersi di spendere cifre esose per il miglioramento della rosa lasciando che il proprio business vada in perdita. L’obiettivo di ritorno economico è molto più definito rispetto ai grandi club dalle risorse illimitate, e la condizione necessaria per far sì che si realizzi sono proprio i risultati sportivi.

Lago et al. sostengono la tesi per cui le grandi squadre non hanno principalmente obiettivi di redditività del capitale, nonostante alcune di queste siano quotate in borsa, bensì obiettivi legati ai risultati sportivi (dai quali, come abbiamo visto, dipende anche il valore del titolo azionario). Quindi, mentre le grandi hanno obiettivi prevalentemente sportivi e vincoli finanziari, le piccole hanno principalmente obiettivi di ritorno economico e i risultati sportivi ne rappresentano una condizione quasi necessaria.186



Nella Tabella 4.9 e nella Tabella 4.10 sono riportati i dati relativi ai ricavi in Conto Economico delle prime tre e delle ultime tre classificate nel campionato di Serie A 2012/2013. 

L’evidenza che accomuna questi grandi e piccoli club è che i diritti televisivi rappresentano, di gran lunga, la maggiore fonte di guadagno su tutte. Per quanto riguarda le squadre provinciali considerate, questa voce d’incassi è seguita rispettivamente dai ricavi commerciali, gli altri ricavi ed infine dai ricavi da gare.


Nel caso dei grandi club, invece, le entrate dai diritti televisivi sono seguite dai ricavi commerciali, i ricavi da gare e per ultimi gli altri ricavi.


Continua....


Per contattare l'autore: carlotta.assetta@gmail.com


*  Lago U., Baroncelli A., Szymanski S., (2004), “Il business del calcio. Successi sportivi e
rovesci finanziari”

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