Ambiguità e incertezze della legislazione sportiva

In occasione del Consiglio Nazionale del Coni tenutosi una quindicina di giorni fa il Premier Letta ha ufficializzato il progetto Destinazione Sport.
Secondo quanto riportato nel sito del Coni, il gruppo di lavoro preposto a tale progetto farà da raccordo tra il mondo dello sport e l'esecutivo ed in particolare “metterà in campo azioni che il Governo e il Parlamento possono assumere per sostenere e rilanciare lo sport come risorsa e come investimento per il Paese.
Di tale progetto e del prestigio degli incarichi conferiti si è scritto tanto negli ultimi giorni. Sicuramente rappresenta una ventata di novità per un sistema sportivo quale quello italiano fortemente conservatore e poco aperto ai cambiamenti.
Tuttavia, come cultrice di diritto la mia prima sensazione è stata di perplessità, ovviamente non con riferimento alle personalità coinvolte, ma bensì per la natura ardua e complessa della materia la quale, da diverso tempo, richiede a gran voce un intervento legislativo riformatore a tutto tondo e non di un'opera (innegabilmente apprezzabile e condivisibile) di rilancio dello sport come risorsa ed investimento per il Paese.
Ritengo, infatti, che parallelamente alle azioni di sensibilizzazione sul territorio nazionale sia necessario un intervento forte e deciso del legislatore per colmare gli evidenti vuoti normativi ed eliminare le ambiguità e le incertezze createsi nel tempo.
Le attuali norme di riferimento per l'ordinamento sportivo appaiono infatti inadeguate a mantenere in vita e salvaguardare un movimento sportivo come quello italiano.
E' purtroppo abbastanza evidente che il legislatore sia intervenuto nel corso degli anni in maniera del tutto frammentaria ed al mero scopo di “rattoppare” all'occorrenza situazioni, per così dire di emergenza, strettamente connesse al mondo del calcio.
Chiaro il riferimento alla legge n. 91/1981 sul professionismo sportivo; tale legge, se da un lato ha introdotto lo possibilità dello scopo di lucro per le società sportive, dall'altro, riservando alle singole Federazioni il potere decisionale di qualificare le discipline di riferimento come professionistiche, ha dato vita ad una disparità di trattamento in danno alla categoria dei lavoratori “dilettanti” dello sport (estremamente numerosi) i quali ad oggi risultano totalmente privi di effettive tutele e garanzie.
Tale disparità di trattamento non concerne solamente le vicende relative al rapporto di lavoro instaurato con la società sportiva di appartenenza ma, anche e soprattutto, gli aspetti della previdenza e della tutela sanitaria.(cfr.http://www.sportbusinessmanagement.it/2013/10/limpasse-normativo-sulla-tutela.html).
Quanto sopra appare di tutto rilievo poiché, come ben noto, la maggioranza delle Federazioni Sportive Nazionali non ha aderito al professionismo ed opera pertanto nell'alveo dell'attività dilettantistica la quale risulta ad oggi priva di una regolamentazione ad hoc. Nel nostro ordinamento non è infatti presente alcuna definizione normativa dell'attività sportiva dilettantistica o dello sportivo dilettante; si qualifica come dilettantistico tutto ciò che in sostanza non è professionismo e le poche norme dettate dal legislatore concernono aspetti essenzialmente di natura fiscale e tributaria (legge n.80/1986, legge n.398/1991, art. 90 legge n.289/2002 – art. 148 comma 3 TUIR).
Ulteriori incertezze ed ambiguità si rinvengono nella legge n. 280/2003 con cui è stato convertito il decreto salva – calcio approvato inizialmente con lo scopo di porre rimedio alla situazione di crisi nei rapporti fra giustizia sportiva e giustizia ordinaria.
Tale legge ha in realtà formalizzato il principio dell'autonomia dell'ordinamento sportivo della cui legittimità costituzionale si è però dubitato e si continua fortemente a dubitare.
Esistono infatti ambiti in cui l'ordinamento sportivo e quello statale sono necessariamente destinati a collidere.
Una delle fattispecie particolarmente significative si rinviene nella normativa dettata per lo svincolo dell'atleta dilettante. Dall'esame delle regole proprie dalle singole Federazioni emerge infatti che all'atleta è data la possibilità di liberarsi dal vincolo di tesseramento alla fine di una stagione ove ricorrano però determinate condizioni (essenzialmente connesse all'età e all'indennità di formazione).
In sostanza, all'atleta, in assenza di nulla osta, è precluso il tesseramento con altre società; in tal modo si limita però la possibilità di svolgere liberamente l'attività sportiva disattendendo completamente i principi costituzionali di cui all'art. 2 e all'art. 18.
Tali limitazioni appaiono del tutto irragionevoli non tanto con riferimento allo sport di alto livello e di serie (professionisti di fatto) nel quale sono consentite deroghe in forza dei regolamenti adottati dalle singole Leghe, ma con riferimento allo sport giovanile.
Numerosi giovani atleti, per mere questioni di opportunismo economico non propriamente in linea con l'etica sportiva, si trovano infatti nelle condizioni di non poter cambiare società/associazione a causa del mancato rilascio del nulla osta da parte del sodalizio di appartenenza. Forse è arrivato il momento di rivedere ed intervenire sulla materia del vincolo sportivo uniformandosi anche alle direttive comunitarie.
In considerazione di quanto sopra appare evidente che il movimento sportivo italiano necessiti urgentemente e prima di ogni altra iniziativa normativa (il mio riferimento è alla legge sugli stadi di calcio attualmente al vaglio del Governo) di nuove norme che disciplinino in maniera uniforme lo svolgimento della attività sportiva ad ogni livello, dall'attività non agonistica a quella professionistica, volte a tutelare i soggetti operanti nell'ordinamento sportivo piuttosto che il business economico.
Sono i tesserati che alimentano lo sport. Sono loro la destinazione.
Vale la pena di investire tempo ed energia per salvaguardarli.
Dott.ssa Federica Ongaro
Consulente legale sportivo e Agente sportivo Lega Pallavolo Serie A
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