"Naming Rights: l'Italia resta indietro "

Tesi di laurea di Claudia Verlezza
Titolo "Sponsorizzazione e reddito d'impresa"
Anno accademico: 2012/13

CAPITOLO 5 - UNA VISIONE COMPARATISTICA (un estratto)

Naming Rights: l'Italia resta indietro 
Se il trattamento fiscale delle spese di sponsorizzazione è molto simile in Italia e Gran Bretagna, le squadre di calcio italiane, però, sono molto indietro rispetto agli altri club europei in un settore specifico: quello del c.d. naming rights, o, in termini più semplici, quello della questione degli stadi di proprietà.
Innanzitutto il termine naming rights indica i diritti di denominazione di una proprietà immobiliare, quale uno stadio, una stazione, un museo, un edificio universitario, offerti ad uno sponsor in cambio di un prezzo e di un interesse congiunto alla valorizzazione del luogo, del traffico, del business.
Questa sponsorizzazione atipica è molto vantaggiosa tanto per lo sponsor, in quanto questi ha l’opportunità di potenziare le proprie capacità di comunicazione con il pubblico, quanto per lo sponsee, che divenendo proprietario dell’infrastruttura, diviene in possesso di un’importante e crescente forma di redditività, significativamente consistente e durevole: i contratti di vendita dei
naming rights prevedono infatti durate pluriennali e le risorse generabili sono tipicamente destinabili a sostenere virtuosamente i costi, la redditività e gli investimenti per migliorare la qualità dell’esperienza del cliente dell’infrastruttura e/o i correlati servizi.

Detto ciò, la situazione degli stadi di proprietà in Italia è alquanto critica: manca una legge che favorisca la costruzione di impianti di proprietà e tranne il caso isolato della Juventus e di poche altre squadre che si stanno muovendo in questa direzione da sole, il calcio italiano diventa sempre meno competitivo in termini di forza economico-finanziaria. Rispetto all’Italia, in Inghilterra e Spagna il costo medio dei biglietti per assistere alle gare è più alto, ma in Serie A, pur avendo il biglietto un prezzo medio più basso, il tasso di riempimento degli stadi è solo del 55%, contro il 93% della Bundesliga, il 92% della Premier League ed il 78% della Liga spagnola224.
Secondo un’indagine di Sponsorship Today225, il valore globale del mercato dei naming rights è di 750 milioni di dollari l’anno: il report ha esaminato i dati di 32 Paesi, per un totale di 548 accordi globali226. Più della metà di questi accordi sono stati siglati negli Stati Uniti, i quali rappresentano esattamente la metà di tutte le offerte ed il 58% ($ 434m) della spesa totale, mentre in termini di valore la Gran Bretagna si colloca al secondo posto, seguita dalla Germania, anche se quest’ultima può vantare un maggior numero di accordi rispetto ai britannici. Il dato che fa riflettere è che l’Italia non è stata nemmeno presa in considerazione nello sviluppo di questa indagine.
Ecco quindi che gli stadi italiani, oltre a non costituire fonte di reddito per le società sportive, sono addirittura un costo che va ad inficiare sul risultato operativo prodotto e, di riflesso, sul budget che può e potrà essere destinato al calciomercato: in Italia lo stadio è attualmente un mero costo, tra spese di gestione e canoni di locazione, mentre se si prendono come esempio le vicine Inghilterra e
Germania, si può notare come lì gli impianti sportivi sono un valore aggiunto, un cespite da cui ricavare fondi rilevanti che andranno ad aumentare il fatturato e, di conseguenza, i fondi destinabili alle campagne acquisti.

L’Italia non può più aspettare: è questa l’unica certezza che si ha in questo quadro così complesso; ad evidenziarlo è stata la Lega Serie B, nell’ambito del progetto B Futura, la quale ha presentato lo “stadio sostenibile” uscito da uno studio durato sei mesi.
Stadi da 10.000 – 20.000 spettatori, con un costo tra i 1.000 ed i 2.000 € a posto, realizzati grazie ad un iter amministrativo certo, da conseguire attraverso diverse forme di sponsorizzazione, e ancora servizi ad hoc creati per migliorare l’impianto in termini di funzionalità, sicurezza, connettività, accessibilità, impatto ambientale ed interazione tra tifosi: ecco il risultato dell’indagine compiuta, o
meglio, l’obiettivo al quale tutti i grandi club dovrebbero mirare. L’indagine ha preso ad oggetto esclusivamente la Serie B, ma vale a maggior ragione per il campionato di Serie A.
Uno stadio sicuro, funzionale ed accessibile, di proprietà della squadra che vi disputa le gare, infatti attira più tifosi e permette di monetizzare il diritto di denominazione, cioè il “naming rights” concesso allo sponsor finanziatore.
Stando così le cose, non può non sembrare lontana anni luce, rispetto al panorama italiano, l’iniziativa presa di recente dal Manchester City, ossia quella di dotare l’Etihad Stadium di un accesso wi-fi ad alta velocità, che permetterà ai tifosi di utilizzare i loro dispositivi portatili per navigare e condividere le loro esperienze durante gli eventi sportivi.

Per contattare l'autore: claudia_verlezza@hotmail.it

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