Limite all'utilizzo degli stranieri: l'infinita querelle europea con le Federazioni Sportive Italiane

La FIGC ha recentemente reso noto che è sua intenzione lavorare per l'approvazione di diverse riforme atte a risollevare tecnicamente (ma non solo) le sorti del calcio italiano.
La goccia che, per così dire, ha fatto traboccare il vaso pare essere stata la deludente spedizione mondiale in Brasile durante l'estate appena trascorsa.

L'esito poco entusiasmante della partecipazione al Mondiale da parte della Nazionale Azzurra avrebbe confermato le preoccupazioni sollevate, in un passato non troppo remoto, sulla necessità di tutelare maggiormente i vivai nostrani a fronte della sempre più crescente presenza in campo nelle competizioni stagionali (di ogni serie e categoria) di atleti stranieri a scapito di quelli italiani.
La proposta avanzata dalla FIGC a fronte di tale situazione consisterebbe nel rivedere le attuali regole di svolgimento delle gare con l'inserimento dell'obbligo di presenza di un numero fisso di atleti italiani nell'undici titolare (inizialmente si pensa 4, per poi in futuro passare a 6) nonché, a latere, di istituire, come già avviene in altre parti di Europa (Inghilterra), una commissione giudicante degli atleti extracomunitari.

La soluzione prospettata dalla Federazione pare tuttavia essere destinata a sollevare la ferma opposizione della UE la quale, già in passato, ha avuto modo di intervenire in diverse occasioni sull'argomento, alimentando un interessante dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
La proposta di limitare l'utilizzazione degli atleti stranieri nelle gare dei campionati nazionali e/o europei tra club non è infatti nuova, né per il mondo del calcio né tanto meno per il mondo sportivo in generale.
Per quanto concerne in particolare l'esperienza calcistica, si rileva che non solo la “Federcalcio italiana” ha dichiarato apertamente di volere inserire l'obbligo di utilizzazione di un numero fisso di atleti nazionali; nello stesso senso si è infatti espresso anche recentemente il Parlamento Russo il quale pare essere già a lavoro (la norma dovrebbe essere approvata definitivamente entro la prossima primavera) per ridurre ulteriormente (esistono già dei limiti) il numero degli stranieri presenti nei campionati russi di una serie variegata di sport: calcio, pallavolo, basket ed hockey su ghiaccio.
Ma il più significativo richiamo è tuttavia da riservarsi alla posizione assunta già da diverso tempo dall'organo presidenziale in carica alla FIFA.
Si evidenzia, al riguardo, che negli ultimi mesi il Presidente Blatter è tornato a ribadire la volontà già consolidatasi in seno al Consiglio della FIFA tenutosi a Sydney nel 2008 in occasione del quale, palesatasi apertamente la necessità di una maggiore tutela dell'identità nazionale sportiva, veniva approvata la formula (oggi nota come “6+5”) istituente il tetto massimo di 5 stranieri schierabili in campo durante le competizioni ufficiali. Detta norma, come ben noto agli esperti di settore, è rimasta nel cassetto e non è mai stata attuata dalla Federazione internazionale a fronte del parere discordante espresso tempestivamente dalla Commissione Europea.

Attraverso le pronunce dei suoi organi sovrani, la UE ha infatti ritenuto la formula approvata a Sydney in netto ed aperto contrasto con i principi consacrati nella nota sentenza Bosman ed essenzialmente riconducibili all'art 39 CE, norma volta a reprimere qualsiasi tipo di discriminazione basata sulla cittadinanza per i lavoratori degli stati membri in termini di occupazione, retribuzione e condizioni lavorative: (“l'art. 39 CE osta all'emanazione di norme da associazioni sportive secondo le quali, nelle partite delle competizioni che si organizzano, le società calcistiche possono schierare solo un numero limitato di calciatori professionisti cittadini di altri Stati membri.” Corte di Giustizia Europea).
Come sopra accennato, tuttavia, la questione non ha interessato e non interessa esclusivamente il mondo calcistico.
Sono diverse e numerose le FSN (Federazioni Sportive Nazionali) che hanno sposato e fatto propria la regola del limite al tesseramento degli stranieri o quella della obbligatorietà di impiego di un numero fisso di atleti italiani durante le competizioni ufficiali, sollevando così l'intervento repentino della UE la quale ha in alcuni casi ha dato il via a vere e proprie procedure di infrazione contro l'Italia per la ritenuta violazione dei principi contenuti nei trattati comunitari.
Tra l'anno 2011 e 2012 la UE è infatti intervenuta attivamente contro il “bel paese” ed in particolare contro la FIN e la FIP.
Nel primo caso, ritenuto che i principi comunitari e di cui alla sentenza Bosman non sono riferibili esclusivamente ai lavoratori sportivi professionisti così come intesi ai sensi della legge italiana n.91/1981 ma a tutti i lavoratori sportivi (compresi pertanto i dilettanti) essendo rilevante ai fini dell'applicabilità dei principi comunitari il mero carattere economico rivestito dall'attività sportiva, la UE attivava nel 2011 una procedura di infrazione per violazione del disposto dell'art. 45 CE assicurante la libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione Europea.
In particolare le critiche della UE si sollevavano con riferimento al tenore dei regolamenti allora in vigore nella parte in cui per la Pallanuoto Serie A1 statuivano espressamente la possibilità di tesserare “sino ad un massimo di 2 atleti non italiani.” (regolamenti ad oggi modificati cfr. http://www.1x2pallanuoto.it/normative/2013-2014/reg-a-1-m-13-14.pdf  “Tesseramenti: fermo restando il libero tesseramento di tutti gli atleti, le Società che intendano tesserare atleti Senior Italiani e non Italiani hanno tempo sino a venerdì 4 ottobre 2013 per espletare tutte le formalità relative al tesseramento stesso).

Per quanto concerne invece la posizione della FIP, si deve evidenziare che la querelle , originatasi dalla richiesta di chiarimenti avanzata dalla UE in merito ai regolamenti introdotti a partire dalla stagione 2011- 2012 ed imponenti particolari obblighi per le società partecipanti ai campionati di serie A (obbligo di schieramento di un numero preciso di atleti di formazione italiana contestualmente eleggibili in nazionale) è ad oggi ancora viva e pare non essere di pronta e bonaria risoluzione (si evidenzia infatti che il Presidente della Federazione Italiana Pallacanestro, Gianni Petrucci, negli scorsi mesi ha chiesto apertamente il supporto del CONI durante il Consiglio Nazionale al fine di risolvere la querelle e tutelare le norme regolamentari ad oggi in vigore, dichiarando che in difetto di sostegno da parte della massima istituzione italiana proseguirà da solo per la tutela dei principi sposati dalla FIP).

La posizione della UE di fatto non si discosta da quanto già eccepito nei suoi precedenti interventi; nello specifico, la Commissione Europea ritiene che i regolamenti elaborati dalla FIP contengano “una chiara discriminazione basata sulla nazionalità” (obbligo di schierare almeno 5 atleti di formazione italiana) e pertanto siano in contrasto con la “normativa UE in tema di libera circolazione dei lavoratori ed in particolare all'art. 45TFEU e al regolamento 492/2001 del 5/4/2001 sulla libera circolazione dei lavoratori nell'Unione qaule interpretato dalla Corte di Giustizia.”

Stante l'orientamento perseguito dalla Commissione, il caso di specie esulerebbe infatti dall'alveo delle ipotesi “discriminatorie giustificabili” e ritenute legittime in forza delle disposizioni contenute nel Libro Bianco sullo Sport, così come avvenuto per la regola del “home grown players” adottata dalla UEFA per la competizione di Chiampions League ed in forza della quale i club partecipanti alle gare devono fornire un elenco definitivo (lista A) di 25 giocatori nel corso della stagione sportiva di cui almeno 8 di “formazione nazionale.

E' principio della Commissione infatti che “possono essere accettate, in quanto compatibili, regole che non causano una discriminazione diretta basata sulla nazionalità e se gli eventuali effetti discriminatori indirette possono essere giustificati come proporzionati a un obiettivo legittimo perseguito, ad esempio potenziare e tutelare la formazione e lo sviluppo dei giovani giocatori di talento” (cfr. Libro Bianco sullo sport risoluzione 8 maggio 2008 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1410853957312&uri=CELEX:52008IP0198)
Le eccezioni sollevate dalla FIP alle osservazioni comunitarie, risultano dal canto loro di rilievo e meritevoli di approfondimento e attenzione e ciò in quanto traggono supporto da una sentenza (n. 8135/2011) resa con riferimento alla medesima questione regolamentare dal TAR Lazio quale autorità statale italiana funzionalmente competente ai sensi della L.280/2003 (il testo integrale della sentenza è disponibile e consultabile al seguente link:
http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Roma/Sezione%203Q/2011/201100747/Provvedimenti/201108135_01.XML)

La massima emessa dai giudici amministrativi consta nel ritenere che la necessità di rivestire la qualifica di atleta formato non sia un requisito ostativo al tesseramento e pertanto alla stipulazione di un contratto di lavoro con le società sportive e al successivo inserimento dell'atleta a referto e nelle rosa, con la ovvia conseguenza che non possono ravvisarsi violazioni meritevoli di tutela.
Appare doveroso precisare che, a differenza dei regolamenti contestati alla FIN in cui il limite al numero degli atleti non italiani era espressamente riferito al tesseramento, nel caso della FIP si è di fronte a regole di carattere puramente tecnico non inerenti al momento della formazione del rapporto di lavoro con la conseguenza che “Il limite cui soggiace la società (e non il giocatore), e cioè assicurare la partecipazione ad ogni gara di un numero minimo di atleti in possesso dello status di “atleta di formazione italiana”, ha la sua ratio nel legittimo e doveroso interesse coltivato dalla F.I.P. alla presenza e allo sviluppo di vivai nazionali, con interventi comuni ad ogni Stato” (sentenza n. 8135/2011 TAR LAZIO).
Tali conclusioni rappresentano sicuramente un ottimo punto di partenza e di argomentazione per fornire di fondamento la proposta formulata dalla FIGC la quale potrà prendere, ove ritenuto opportuno, ispirazione anche dall'esperienza di altre FSN in cui il limite all'utilizzo degli stranieri rappresenta una norma endofederale consolidata da tempo seppur plasmata da alcuni accorgimenti; tra tutte si segnala a titolo esemplificativo e per l'importanza dei campionati in ambito europeo, la scelta operata dalla FIPAV (Federazione Italiana Pallavolo) la quale anche per la stagione di prossimo avvio ha statuito (come d'altronde ormai da diversi anni) che “Fermo restando le 30 licenze per atleti Over 20 / Under 23 (nati negli anni 1992-1993-1994-1995) stranieri che la Lega provvederà a distribuire tra le società di A1 e A2, non c’è alcuna limitazione sull’utilizzo di atleti stranieri Under 23. OBBLIGO DI PARTECIPAZIONE DI ATLETI/E ITALIANI/E NEI CAMPIONATI DI SERIE A1 e A2 (Coppa Italia compresa) Per la stagione 2014/2015 l'obbligo è così definito: A1M) Almeno 3 italiani sempre in campo su 7 (sestetto+libero (*)) A2M Almeno 5 italiani sempre in campo su 7 (sestetto+libero (*)) A1F (**) Almeno 6 italiane a referto delle quali almeno 3 sempre in campo su 7 (sestetto + libero (*)) A2F Almeno 5 italiane sempre in campo su 7 (sestetto+libero (*) ( cfr http://guidapratica.federvolley.it/campionati/le-principali-norme-della-stagione-2014-2015/view).
In attesa di un intervento normativa chiesto da più parti del mondo sportivo italiano sul tema di cui si è trattato, la questione della tutela vivai nazionali ben potrebbe essere procrastinata con l'adozione di una diversa filosofia nelle operazioni di mercato da parte sia delle società che degli operatori preposti a gestire la domanda-offerta degli atleti.

Dott.ssa Federica Ongaro
Consulente legale sportivo e agente sportivo Lega Pallavolo Maschile


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