Il Salary Cap NBA: ecco come funziona

Introdotto in NBA per la prima volta negli anni ’40, ma ai tempi subito abbandonato, il Salary Cap è stato ripreso nella stagione 1984/85 dall’ex commissioner David Stern e viene considerato oggi uno dei principali fattori che permettono al basket americano di essere il più seguito nel mondo. Ma in cosa consiste e, soprattutto, come funziona? Per prima cosa è bene ricordare che il Salary Cap è la cifra massima che ogni squadra NBA può spendere per il pagamento degli stipendi dei propri giocatori. Questo viene fatto in particolar modo per fare in modo che il campionato rimanga sempre equilibrato, evitando che solo i più ricchi possano ambire alla vittoria dell’anello e che troppi All Star, come fu il sei volte campione Michael Jordan, facciano parte dello stesso roster. Seppure il tetto salariale non sia un sistema utilizzato negli USA solamente dall’NBA (anche NFL, MLB, NHL e MLS ne fanno uso), ciò che lo distingue da quello delle altre leghe professionistiche d’oltreoceano è il fatto che sia un cosiddetto “Soft Cap” e che quindi possa essere sforato.

Per tale motivo quando si parla di Salary Cap, bisogna nominare anche Salary Floor, Luxury Tax Line e Apron. Ogni anno, prima dell’inizio della stagione cestistica, la NBA, incarnata nel suo commissioner Adam Silver, e la National Basketball Players Association (NBPA) determinano la cifra del Salary Cap, tenendo in considerazione i ricavi conseguiti dalla lega in passato e stimando quelli della stagione a venire. Individuata tale soglia viene calcolato il Salary Floor (da qualche anno il 90% del Salary Cup), il quale rappresenta la somma minima che ogni società è tenuta a stanziare per il gli ingaggi dei giocatori. Chi non dovesse raggiungere tale importo dovrà dividere il disavanzo ai propri tesserati a fine anno. Come anticipato, poi, il tetto salariale può essere sforato, ma solo fino ad un certo limite, noto come Luxury Tax Line. Le franchigie che valicano questa soglia sono tenute a versare alla lega una precisa sanzione che viene ulteriormente aumentata in caso di recidività (sono considerati “repeater” coloro che hanno dovuto pagare sanzioni per tre volte nelle ultime quattro season). Una parte del denaro raccolto, di solito il 50%, viene utilizzata per fini utili agli interessi dell’associazione e una parte versata nelle casse di quelle squadre che non pagano la “tassa di lusso”. Superare di più di 4 milioni di dollari il limite della Luxury Tax comporta l’ingresso nell’ultimo scaglione previsto dal regolamento e chiamato Apron. In tal caso, oltre al pagamento della penale si è soggetti a delle restrizioni nelle operazioni di compravendita di giocatori. Attualmente i più spendaccioni sono gli Oklahoma City Thunder.

Qui di seguito riportiamo le penali da versare per chi sfora la Luxury Tax Line e stabilite tramite un sistema a scaglioni:

- da 0$ a 4.999.999$ di sforamento va pagato 1,50$ per ogni dollaro che supera la Luxury Tax Line (2,50$ per i “repeater”)

- da 5.000.000$ a 9.999.999$ di sforamento: 1,75$ per ogni dollaro che supera la Luxury Tax Line (2,75$ per i “repeater”)

- da 10.000.000$ a 14.999.999$ di sforamento: 2,50$ per ogni dollaro che supera la Luxury Tax Line (3,50$ per i “repeater”)

- da 15.000.000$ a 19.999.999$ di sforamento: 3,25$ per ogni dollaro che supera la Luxury Tax Line (4,25$ per i “repeater”)

- sopra i 20.000.000 $ di sforamento: 3,75$ per ogni dollaro che supera la Luxury Tax Line aumentato di 0,5$ ogni 5 milioni di $ (4,75$ aumentato di 0,5$ ogni 5 milioni di $ per i “repeater”)

Per la stagione 2015/16, il Salary Cap è stato fissato alla cifra record di 70 milioni di dollari e si potrà eccedere al massimo di 14,74 milioni, pena l’ingresso nella fascia della Luxury Tax. Con un tetto salariale così alto, il rischio ipotetico che spaventa i club del vecchio continente, può essere quello di provocare un esodo di massa dei giocatori europei, attratti dalla possibilità di guadagni faraonici.

Denis Michelotti

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