Da Bosman alla delibera federale 451/2012: 20 anni di atleti stranieri nel basket italiano

Il caso Bosman è scaturito in ambito calcistico, ma ha prodotto dei radicali cambiamenti in tutto il settore professionistico. Gli effetti scaturiti dalla decisione della Corte di Giustiza Europea hanno prodotto l’equiparazione degli sportivi professionisti ai classici lavoratori subordinati e sancito come gli sportivi professionisti comunitari debbano godere della libertà fondametale di circolazione all’interno del contesto europeo per poter svolgere la propria attività lavorativa. 

In conseguenza di ciò lo Stato italiano è intervenuto ritenendo illegittimo il pagamento dell’indennità di trasferimento alla scadenza del contratto degli atleti, previsto dalla legge n.91/81. Questo istituto è stato sottoposto a modifica all’interno della legge n.586/1996, diventando il premio di addestramento e formazione tecnica. Queste decisioni dell’organo di giustizia europea hanno rivoluzionato lo sport professionistico nel contesto europeo.

Anche la Serie A italiana di Basket è stata interessata dai suddetti effetti, in seguito ai quali gli organi federali hanno dovuto rivedere i propri regolamenti per i criteri di eleggibilità degli atleti. Il tema nell’arco di questi anni è stato oggetto di dibattito e di confronti per la ricerca di una soluzione che potesse soddisfare tutte le parti in causa: LegaBasket, F.I.P e la G.I.B.A (l’Associazione dei Giocatori). Negli anni seguenti la Sentenza Bosman, la F.I.P non ha posto alcun veto al tesseramento degli atleti comunitari. È da specificare come in questa categoria rientrino tutti i giocatori dell’area F.I.BA Europe, ovvero quelli provenienti da Federazioni iscritte all’organo di riferimento del basket europeo. Il numero di questi Paesi è superiore rispetto a quelli aderenti all’Unione Europea. L’interpretazione estensiva del concetto di atleta comunitario non è mutato nel corso degli anni. Le prime limitazioni nelle quote riservate agli atleti comunitari, nell’era post Bosman, sono state avute a partire dalla stagione 2009-2010 in cui essi dovevano essere massimo sei per ogni squadra. Tale quota è rimasta valida fino al 2012 nonostante delle modifiche apportate ai regolamenti federali. Per quanto concerne gli atleti extracomunitari, l’evento da sottolineare nel ventennio considerato è legato alla stagione 2001-2002, anno in cui non è stato posto alcun limite al loro tesseramento in seguito alla Sentenza Sheppard da parte del Tribunale di Teramo, sezione di Giulianova. Questo evento è rimasto un caso isolato; infatti successivamente il loro numero è stato compreso tra 2 e 4 fino al 2012, e comunque è sempre dipendente dal numero di visti per extracomunitari che il C.O.N.I. rilascia alla F.I.P.

Rilevanti cambiamenti nei criteri di eleggibilità degli atleti si sono avuti a partire dalla delibera n.451/2012 nella quale la FederBasket ha sancito le due formule attualemente in vigore per la composizione delle squadre. I club possono scegliere tra la formula a 10 giocatori, nella quale 5 devono essere di formazione italiana e 5 stranieri senza distinzioni tra comunitari ed extracomunitari. La seconda opzione per i club è la rosa con 12 atleti di cui 5 di formazione italiana, 3 extracomunitari e 4 comunitari o equiparati. Con quest’ultimo termine si fa riferimento agli atleti provenienti dalle tre aree geografiche interessate dalla Convenzione di Cotonou: Africa, Caraibi e Paesi dell’Oceano Pacifico. Questa interpretazione da parte della Federazione italiana è scaturita da un invito da parte della Commissione Europea ad adottare quanto sancito dalla suddetta Convenzione e, a partire dalla stagione 2012-2013, i giocatori nati o passaportati per questi Paesi sono considerati al pari dei comunitari. Emerge anche in questo caso come gli interventi di derivazione comunitaria abbiano inciso sull’attuale conformazione dei roster delle 16 partecipanti al campionato di Serie A.
In seguito all’emanazione di questo regolamento si sono susseguite diverse obiezioni volte a sostenere una maggiore tutela nei confronti degli atleti italiani. Il loro utilizzo nelle tre stagioni regolari sin qui disputate in modo completo è stato pari al 33,22% dei minuti totali delle 30 giornate nel 2012-2013; 31,51% nella stagione successiva ed, infine, 32,7% nell’ultimo campionato disputato. Questi dati non soddisfano l’Associazione dei giocatori che richiede una revisione delle formule in vigore, o comunque delle norme strutturali che possano garantire un maggiore impiego dei cestisti italiani. Da una comparazione con le principali leghe europee non emergono particolari differenze in questo senso: in Germania si attua il 6+6; in Grecia ci possono essere massimo 6 atleti stranieri di cui 4 extracomunitari; mentre in Spagna le formule sono simili a quelle adottate in Italia. Le differenze principali emergono con il campionato turco e con quello israeliano i quali prevedono la presenza obbligatoria in campo di almeno due atleti indigeni. Questo è possibile nei due Paesi in quanto non fanno parte dell’UE e, di conseguenza, non sono soggetti alla normativa comunitaria sulla libera circolazione degli atleti.

La posizione della F.I.P sulla questione risulta particolarmente difficile in quanto essa cerca di conciliare gli interessi dei club e dell’Associazione dei giocatori dovendo rispettare, per una sorta di gerarchia delle fonti, i principi e le norme di derivazione comunitaria.
Gli scenari futuri che si prospettano vanno nella direzione di soluzioni di tipo transitorio per cercare di venire incontro alle esigenze delle parti. Proprio in questo senso nell’Assemblea di Lega del 10 dicembre 2015 è emersa l’ipotesi di modificare l’eleggibilità dei giocatori passando alla formula del 6+6 a partire dalla stagione 2016-2017. La Federazione si è detta disponibile a valutare questa ipotesi, ma prima deve essere ottenuto il consenso anche da parte della G.I.B.A. Nel frattempo, nelle prime 11 giornate di campionato sin qui disputato, gli atleti italiani sono stati impiegati per il 33,35% e questo è il miglior dato delle ultime cinque stagioni regolari. Questo può essere un segnale di come l’impiego degli atleti italiani non dipenda dai criteri di eleggibilità, ma principalmente dalle qualità cestistiche e dalla volontà dei club di investire su di loro.

Damiano Olla

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