Come il C.I.O. previene l’ambush marketing: l’applicazione della Rule 40 che limita l’uso del nome e dell’immagine degli atleti alle Olimpiadi di Pyeongchang


Dal 9 al 25 febbraio prossimi, i migliori atleti del mondo nelle discipline sportive di neve e ghiaccio si daranno appuntamento nella contea di Pyeongchang, in Corea del Sud, per dare vita alla XXIII edizione dei Giochi Olimpici invernali.
Un evento planetario, forse il più importante dell’anno per quanto riguarda lo sport nella sua globalità.
Nell’epoca attuale, però, il fenomeno sportivo non rileva soltanto per le sue caratteristiche atletiche e agonistiche, ma anche dal punto di vista del marketing e della comunicazione.
Non è un mistero, infatti, che le Olimpiadi attirino gli interessi di imprese che, a fronte di una cospicua sponsorizzazione, intendano farsi conoscere da un pubblico su scala globale.

A fronte di un simile investimento, le aziende coinvolte hanno preteso – e ottenuto – espresse tutele extracontrattuali, condensate nella lettera della Rule 40 che limita l’uso del nome e dell’immagine degli atleti durante i Giochi Olimpici, tanto sui principali organi di informazione (tv, radio, giornali, etc.), quanto sui social network.

La ratio giuridica della Rule 40 risiede nel fatto che spesso gli sponsor degli atleti sono diversi dai partner commerciali dell’evento sportivo. Di conseguenza, senza una chiara disciplina in tal senso, si rischierebbero sovrapposizioni di marchi diversi nella stessa manifestazione, tali per cui gli interessi dell’azienda detentrice del diritto a farsi pubblicità nel corso delle Olimpiadi verrebbero irrimediamente frustrati dalla compresenza di un’impresa concorrente.
Ed anzi, molto spesso, le stesse aziende avversarie degli sponsor ufficiali si prodigano per fare – abusivamente – la propria apparizione nel corso dell’evento, secondo un comportamento comunemente definito ambush marketing, che consiste in una sorta di agganciamento parassitario ad una determinata manifestazione di particolare notorietà e visibilità da parte di un soggetto commerciale che non è legato da alcun rapporto con l’organizzatore dell’evento e che, pertanto, non ha sostenuto alcun esborso per la sponsorizzazione dello stesso.

In virtù di ciò, secondo la Rule 40, nei 9 giorni precedenti la manifestazione – nel caso dei Giochi Olimpici invernali di Pyeongchang il periodo va dal 1° all’8 febbraio – le campagne di marketing e comunicazione incentrate sugli atleti possono essere organizzate soltanto dalle aziende accreditate. Tutte le altre dovranno passare attraverso un processo di approvazione, con tempistiche vincolanti e restrizioni sui termini che possono essere utilizzati.

Il testo originale della Rule 40 non possedeva, ovviamente, alcun riferimento ai social network: la regola è stata emendata in occasione dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro nel 2016, a partire dai quali non è stato possibile, per gli atleti e i loro sponsor, se non quelli ufficiali della manifestazione, creare post con hashtag come, per esempio, #Olympics o #GoForTheGold.
Il C.I.O., inoltre, ha pubblicato un elenco di parole vietate sui social, che includono termini come impegno, sfida, vittoria e medaglia. Stesso destino per le foto che ritraggano medaglie, loghi o mascotte olimpiche, pena la squalifica e, nei casi più gravi, l’annullamento delle medaglie conseguite.
L’argomento non è di poco conto, e si tratta senza dubbio di una soluzione estrema per un problema tanto complesso quanto difficile da tenere sotto controllo come la comunicazione nell’era della digitalizzazione.
In attesa di una normativa più chiara e rispettosa degli interessi in gioco – compresi quello degli alteti, in qualche caso impossibilitati anche al farsi le congratulazioni fra loro – le necessità di tutela degli investimenti degli sponsor ufficiali ha prevalso su tutte le altre.
Il prossimo passo, ad avviso di chi scrive, dovrà essere quello di un nuovo intervento, al fine di contenere il pericolo di un’extra-tutela delle esigenze degli Sponsor Olimpici e della corrispondente, indebita, compressione dell’esigenze dei cosiddetti Partner Non Olimpici.

Avv. Carlo Rombolà

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