Gli aspetti tecnici del FPF: relevant income, fair value e principi contabili. Intervista a Paolo Ciabattini

Ultimamente si parla spesso di Fair Play Finanziario, delle possibili sanzioni per chi non rispetta le regole e dell’impatto che la regolamentazione UEFA ha sulle scelte societarie dei club calcistici.
Insieme a Paolo Ciabattini*, autore del libro “Vincere con il Fair Play Finanziario”, abbiamo analizzato alcuni aspetti prettamente tecnici riguardanti le norme emanate dall’UEFA.
L'obiettivo è quello di valutare i margini di manovra che hanno i club per rientrare nei parametri e capire meglio i controlli e le funzioni del Panel UEFA.
Inoltre approfittando della disponibilità del Dott. Ciabattini abbiamo affrontato anche diverse tematiche di sport business, quali, sponsorizzazioni, stadi e diritti tv, mettendo in evidenza soprattutto il divario che si sta creando tra la Serie A e le altre top leghe europee.
Dott. Ciabattini ci siamo, il Financial Fair Play (FFP) inizia a far sentire il suo peso nei bilanci delle società di calcio. Il vero protagonista dell'ultima sessione di calciomercato è stato il FPF?
L’ultimo mercato estivo e’ stato un mercato sicuramente all’insegna del Fair Play Finanziario, pur con qualche eccezione. I club europei hanno speso quasi 400 Milioni. di euro in meno rispetto alla media investita nelle ultime quattro stagioni.
Si è speso di meno in particolare in Italia che evidenzia finalmente un saldo attivo anche se di soli 4 milioni di euro (dati Transfermarkt) e in Spagna dove si registra un saldo di + 61 milioni di euro. L’ultima volta che la Serie A fece registrare un saldo attivo nel calciomercato fu nel 2005 quando la serie A totalizzò un + 52 milioni di euro.
l’unica vera protagonista indiscussa del mercato è stato il Paris Saint Germain che dopo i 100 milioni delle scorso anno, ha pensato bene di investirne altri 140 solo considerando i cartellini dei giocatori. Si perché poi ci sono gli stipendi che incidono molto di più soprattutto in Francia.
L’UEFA ha stabilito che i ricavi derivanti da operazioni con parti correlate non verranno considerati come componenti di reddito (relevant income), per i parametri del FFP, se supereranno i valori di mercato ( fair value). Con la crescita esponenziale dei contratti di sponsorizzazione e naming rights (es. Chevrolet/Manchester United, Qatar Foundation/Barcellona), come farà il Club Financial Control Panel Uefa a stabilire quali siano le giuste cifre di mercato?
E’ stato creato un organo di controllo finanziario indipendente, il Club Financial Control Body, che avrà il compito di verificare che i club qualificati per partecipare alle competizioni europee, abbiano rispettato i requisiti del FPF. E’ composto da esperti giuridici e finanziari totalmente indipendenti dalle federazioni nazionali. Veglierà sull’utilizzo delle plusvalenze incrociate, impedirà le compravendite di marchi e soprattutto su ogni di transazione con le parti correlate che possa generare introiti superiori a quello che viene definito “fair value” o valore di mercato.
In effetti in questi ultimi mesi il valore medio dei main sponsor dei top club è aumentato sensibilmente. Chevrolet a partire dal 2014-2015 pagherà al Manchester United 62 milioni di euro. Quatar Foundation 30 milioni al Barcellona. Standard Chartered 23,6 al Liverpool e Deutsche Telekon 22 a salire al Bayern senza dimenticare i circa 30 milioni di euro del Manchester City e quelli che la Banca qatariota investirà per apparire sulla maglia del PSG.
La UEFA ha stabilito che nel caso in cui lo sponsor sia una parte correlata alla società proprietaria del club, il valore della sponsorizzazione non debba superare il fair value o valore di mercato.
Per stabilire quale sia il valore di mercato di una sponsorizzazione la UEFA potrà rivolgersi a società di consulenza specializzate che potranno stabilire in base ad alcuni parametri, il valore globale del marchio del club nonché un livello massimo per tipologia di sponsorizzazione (main sponsor. sponsor tecnico, cartellonistica etc)
I parametri che verranno presi in considerazione potranno essere il numero dei tifosi, i trofei vinti, la storia e in generale il fascino, l’appeal che il marchio è in grado di generare presso i potenziali acquirenti.
Secondo lei, oltre alle operazioni con parti correlate, possono esserci per i club altri escamtage o artifici contabili con cui eludere il Panel di controllo dell’Uefa?
Si, le operazioni con parti non correlate. Ad esempio, con un amico, o meglio con un prestanome.
Mi spiego meglio. Ad esempio, se il PSG dovesse vendere ad un amico dello sceicco, e credo che di amici ne abbia tanti, un box allo stadio per 30 milioni di euro a stagione, pur non trattandosi di parte correlata,si tratterebbe di una transazione effettuata ad un valore decisamente più alto di quello di mercato. In questo caso è manifesto che non si tratta di parte terza, ma di una parte che in qualche modo ha degli interessi e che quindi può essere considerata come correlata e ricadere nell’ambito del fair value della transazione. L’onere della prova di dimostrare che non si tratta di una parte correlata ricadrebbe sul club che avrebbe non poche difficoltà dato il valore della transazione stessa.
In definitiva, se anche la parte con cui viene effettuata una transazione apparentemente non è correlata, se il valore è superiore a quello di mercato l’organo di controllo interviene per ridurre il relevant incomme all’interno del fair value.
Un secondo caso potrebbe essere quello invece in cui ci siano numerosi sponsor complementari parti correlate, immaginiamo 50 sponsor da 3 milioni a stagione, che comunque rispettino singolarmente il fair value. In questo caso, il limite sarà costituito dal valore massimo del marchio in termini di sponsorizzazione totale. La parte eccedente dei ricavi anche in questo caso non verrà considerata ai fini del FPF.
Negli ultimi anni i fatturati delle società italiane presentano tassi di crescita relativamente bassi se confrontati con quelli dei top club europei. Non è riduttivo imputare il gap che si è creato solo alla mancanza di stadi di proprietà ?
Si, negli ultimi anni il tasso di crescita del fatturato dei club italiani è stato vicino allo zero mentre per quanto riguarda tutti gli altri paesi si è verificato un notevole incremento.
I ricavi da stadio dei club italiani, sono i più bassi tra i top club. L’attività di merchandising, è penalizzata dalla diffusione della contraffazione del marchio in Italia. Le sponsorizzazioni si attestano su cifre mediamente molto più basse rispetto ad altri team di prima fascia, e un solo club ha lo stadio di proprietà . In 7 anni, rispetto al bilancio 2005, il Barcellona ha aumentato 2 volte e mezzo le entrate, il Real Madrid le ha quasi raddoppiate,il Manchester United ha incrementato di quasi il 60%. La Juventus perde più del 10% e oltre il 20% rispetto al 2006 quando raggiunse i 251 milioni di fatturato, Milan e Inter sono leggermente cresciute.
In questo momento, il modello di business italiano appare difficilmente sostenibile e poco competitivo. Un ruolo determinante è ancora ricoperto dai mecenati con il costante apporto di capitale.
E’ necessario un riequilibrio del rapporto tra costi e ricavi e una maggiore diversificazione sul fronte degli introiti troppo legati alla voce dei diritti televisivi.
Infatti, nonostante l'introduzione della contrattazione collettiva abbia significato una riduzione per i top club intorno al 20%/25%, I diritti televisivi sembrano ancora essere l'unica voce in cui le squadre italiane restano altamente competitive.
Riguardo la voce dei ricavi commerciali invece, il gap rispetto agli altri top club è notevole. La Juventus, bilancio 2011, evidenzia un gap sfavorevole di 120 milioni rispetto a Bayern, Real e Barca, mentre il Milan che è il club italiano con i ricavi commerciali più alti, di quasi 90 milioni.
Non è sicuramente migliore lo scenario che riguarda i ricavi da stadio dove ancora un a volta i club italiani si collocano nelle ultime posizioni tra i top club, con differenze a valore sui fatturati che si avvicinano o superano anche gli 80 milioni a stagione.
Le ragioni sono molte, ma quella più importante è sicuramente l’arretratezza dei nostri stadi che a parte la Juventrus non sono di proprietà .
In Italia, gli stadi sono spesso fatiscenti, obsoleti, con limitati spazi dedicati alla Corporate Hospitality. Vengono usati soltanto nel giorno della partita e non hanno al loro interno ristoranti, negozi, cinema, aree di intrattenimento per bambini, infrastrutture che possano aumentare e diversificare i ricavi. Hanno elevati costi di manutenzione e di affitto. Inoltre spesso sono scomodi e la visibilità non è delle migliori. E’assolutamente necessario che anche altre squadre italiane seguano l’esempio della Juventus, con lo “Juventus stadium”
Avere lo stadio di proprietà rappresenta per i nostri club un “must”.
Così facendo aumenteranno anche le presenze allo stadio dove ancora una volta i nostri club si trovano in una posizione di netto svantaggio se pensiamo che in relazione alla stagione 2010, le presenze medie per partita negli stadi tedeschi ed inglesi sono state pari rispettivamente a 42 mila e a 35 mila unità contro le 25 mila unità della Serie A.
Se guardiamo ai dati relativi ai club più importanti, negli ultimi anni, le squadre che hanno fatto registrare il dato della presenza media di spettatori più alto sono stati il Manchester United, con oltre 75.000 presenze a partita e il Barcellona con 76.000 unità .
La percentuale di utilizzo della capienza dello stadio maggiore, è quella del Bayern, che ottiene il 100% , superando i club inglesi che registrano con Arsenal, Manchester United e Chelsea “soltanto” il 99%. Questi sono dati davvero impressionanti se confrontati con quelli delle squadre italiane che oscillano tra il 65% il 50% ad eccezione della Juventus della scorsa stagione che ha quasi sempre fatto il tutto esaurito.
I ricavi derivanti da sponsorizzazioni e attività commerciali delle società italiane sono i più bassi delle top 5 leghe europee. La Serie A nella stagione 2010/11 ha totalizzato € 318 milioni, mentre la Premier League e la Bundesliga più del doppio. Quali possono essere le cause di una forbice così elevata?
I ricavi commerciali della serie A bilancio 2010 sono i più bassi tra le 5 top League con 310 milioni di euro complessivi contro i 697 della Germania, i 610 dell’Inghilterra i 450 della Spagna e i 312 della Francia.
Siamo perfino dietro la Francia prima ancora dell’arrivo dello sceicco proprietario del PSG.
Nel 2011 le cose non sono migliorate.
A livello di sponsor il gap è notevolissimo. E’ evidente che ci sia un minor appeal da parte del nostro campionato rispetto a Premier e Liga. Lo dimostrano anche i diritti televisivi internzionali della serie A che sono molto bassi. Viceversa la Premier è vista in tutto il mondo. Il problema però non riguarda soltanto la qualità del nostro campionato. E’ anche una questione di quanto appeal possa avere oggi il nostro paese nei confronti di potenziali investitori esteri. In Italia non ci sono proprietari di club stranieri. Metà della squadre della Premier sono di proprietà di magnati, russi, arabi e americani. Questi magnati con parti correlate o meno, hanno facile accesso a sponsorizzazioni milionarie. Vedi Gazprom con il Chelsea oppure Aithad con il Manchesetr City. La verità è che questi sponsor non hanno interesse ad avere viibilità in Italia perché non hanno per il momento intenzione di investire nel nostro paese. Se come si dice nel 2014 il Quatar investirà numerosi miliardi nel Made in Italy, allora le cose cambieranno e i ricavi commerciali dei club italiani aumenteranno.
Paghiamo anche la crisi che ha colpito ad esempio più l’Italia della Germania. In Germania si vendono più auto che in Italia. E’ normale che Audi che un tempo sponsorizzava un top club italiano adesso faccia parte del nutritissimo portafoglio di sponsor del Bayern.
Vedendo anche i dati dei proventi derivanti da attività di merchandising, in Italia, i marchi delle società di calcio sono meno tutelati rispetto al resto d’Europa?
Già nel 2009 la Serie A fatturava poco più di un terzo di Liga e Premier e quasi la metà della Bundesliga.
Nel 2010 le cose non sono molto migliorate anche se il fatturato per merchadising e licensing è passato da 64 a 77 milioni facendo registrare un + 20%. Le distanze rispetto ai 168 della Premier e i 130 della Bundesliga sono rimaste pressoché invariate. Rispetto alla Liga che totalizza 190 milioni lo scostamento a valore è addirittura aumentato.
Il Manchester United bilancio 2009 ha raggiunto un fatturato di 24 milioni di sterline.
Viceversa i club italiani sono fermi ai 9 milioni del Milan e ai 6 milioni della Juventus nel bilancio 2011.
Una parte della questione è da ricondursi al problema del mercato parallelo della contraffazione del marchio che in Italia rappresenta una porzione di fatturato decisamente più alta rispetto agli altri paesi.
In Germania negli ultimi anni i ricavi delle società di calcio sono cresciuti in maniera esponenziale; gli stadi sono pieni, moderni, confortevoli e fanno registrare tassi di riempimento che sfiorano il 100%; l’incidenza del costo del personale sui ricavi è poco sopra il 50%. Il modello tedesco è il nuovo benchmark di riferimento per l’industria del calcio?
Il calcio tedesco è in netta crescita sia dal punto di vista economico che per quanto riguarda i risultati sportivi. Lo dimostra anche il fatto che ci ha superati nella classifica Uefa che determina il numero di squadre partecipanti alla Champions league.
Un grande impulso lo ha ricevuto in occasione dei Mondiali che si sono disputati in Germania nel 2006 che hanno significato un ingente investimento in infrastrutture. A parte il Bayern che è proprietario dello stadio, gli altri club si appoggiano a stadi che sono proprietà del municipio, ma che garantiscono in termini di confort, qualità e sicurezza, gli standard massimi.
Questo ha permesso ovviamente un incremento significativo dei ricavi da stadio.
Anche per quanto riguarda il settore giovanile, la Germania appare essere piuttosto avanti. Negli ultimi anni i club tedeschi hanno investito somme di denaro ingenti nelle cosiddette “Accademie”, ottenendo risultati molto importanti a livello di nazionale ed, abbassando notevolmente sia l’età media delle squadre che il loro monte stipendi.
La serie A è invece il campionato più vecchio d’Europa. Solo il 4% dei giocatori del campionato Primavera arrivano a giocare in serie A.
In Germania in ogni turno di campionato, giocano 23 under 21, di cui 17 tedeschi, mentre in Italia 10 di cui solo 4 italiani. I giovani under 21 titolari tedeschi sono 12 mentre in Italia meno di 2.
Mi risulta anche che il sistema di licenze tedesco per partecipare al campionato sia rigoroso e puntuale nei controlli che vengono messi in atto e dia la giusta rilevanza all’equilibrio dei club dal punto di vista economico- finanziario.
I club sono generalmente delle associazioni. Il Bayern fa eccezione in quanto fa capo alla società “FC Bayern München AG”, che è una società per azioni controllata con una quota dell’87,4% da un’associazione con 187.865 soci. Adidas AG e Audi AG detengono il 9,1% ciascuna. In genere non è previsto quindi l’intervento del mecenate a copertura delle perdite. Questo fa si che l’attenzione al pareggio di bilancio sia realmente concreta.
Ne è un esempio il Bayern che ha chiuso il bilancio in utile per il ventesimo anno consecutivo. Nell’esercizio 2012 ha anche stanziato dividendi per 5,5 milioni di euro.
A testimoniare la crescita del calcio tedesco anche dal punto di vista economico, c’è anche la classifica Deloitte dei club europei che tiene conto del fatturato al netto delle plusvalenze relative alla cessione dei calciatori.
Il Bayern è la quarta squadra europea con il fatturato più alto nonostante i diritti tv locali delle squadre tedesche fossero fino al 2012 i più bassi tra le 5 top league. Dalla stagione in corso invece ci sarà un consistente incremento dei diritti tv della Bundesliga che hanno raggiunto la cifra record di 4,15 miliardi di euro per le quattro stagioni dal 2013 al 2017.
Nella classifica relativa ai bilanci 2011, nei primi 10 classificati sono presenti il Bayern quarto e lo Shalke 10mo con 202 milioni di euro.
Sedicesimo è il Borussia Dortmund con 138,5 milioni di euro che nel 2102 sono saliti a 189,1 milioni. In diciottesima posizione l’Amburgo con 1128,8 milioni di euro di fatturato.
Il bayern ha i ricavi commerciali più alti con 173 nel 2011 e 177,7 nel 2012. Sesto è lo Shalke con 90,9, davanti a club come il Chelsea, l’Arsenal e la Juventus.
Alla luce di quanto sopra, è ovvio che la Bundesliga appare oggi come il miglior modello di riferimento per l’industria del calcio.
Tornando al FFP, i bilanci dei club non vengono redatti secondo principi contabili univoci, ma cambiano a seconda della nazione di appartenenza o in base al fatto che il club sia quotato o meno in borsa. Questo comporta differenze significative nella redazione dei bilanci?
I club quotati in borsa redigono i bilanci secondo gli IFRS (International, Financial, Reporting Standard). Gli altri club sulla base dei principi contabili nazionali. Le differenze derivanti dall’adozione dei 2 differenti principi possono anche essere significative. Ad esempio un anno fa, il Manchester United, prima di quotarsi in borsa, ha riclassificato il bilancio redatto come consuetudine secondo i principi contabili UK, quello chiuso al 30 giugno 2011, in base agli IFRS. Il risultato è migliorato notevolmente per via del fatto che gli IFRS non prevedono l’ammortamento dell’avviamento.
Rispetto il risultato di bilancio ai fini del FFP però, non vi erano differenze sostanziali in quanto ad esempio l’ammortamento dell’avviamento non è considerato nel calcolo del risultato.
Possiamo dire che eventuali differenze che sarebbero generate dall’adozione di principi contabili differenti, siano assorbite dalla normativa stessa che a sua volta le esclude dal calcolo del risultato di bilancio.
Una differenza che potrebbe generare discrepanze è comunque la gestione contabile dei costi che vengono sostenuti per l’acquisizione dei diritti alle prestazioni dei calciatori, i cosiddetti cartellini.
Il 60% dei club capitalizza e ammortizza tali costi in quote costanti lungo la durata del contratto del calciatore. Il rimanente 40% dei club le spesa direttamente nell’anno di acquisizione. Nello stesso tempo però se consideriamo i club qualificatisi per le competizioni europee 2011-2012, la percentuale dei club che adottano il criterio che prevede la spalmatura del costo lungo la durata dei contratti aumenta fino al 91%.
Significa che solo il 9% dei club ha spesato tutto il costo dei giocatori comprati nell’esercizio in cui ha effettuato l’acquisto.
Possiamo concludere che ai fini del FFP, l’adozione di differenti principi contabili non comporti significative differenze.
Nei vari paesi europei ci sono leggi diverse sulla ripartizione dei proventi televisivi, così come ci sono differenze nei sistemi fiscali e previdenziali. Tutto questo può creare iniquità tra le società di calcio?
Si ci sono e anche notevoli, ma su questo la Uefa non può intervenire.
Mi risulta che ci siano alcuni punti percentuali in termini di contributi sociali e imposte sul reddito tra i diversi paesi europei. L’italia è uno delle nazioni più penalizzate in tal senso ed ha un costo degli stipendi sicuramente maggiore rispetto ad Inghilterra e Germania. A valore nonostante la pesante riduzione del peso degli stipendi adottata dai Inter e Milan, potremmo parlare anche di un impatto di più di una decina di milioni su base annua.
Rispetto alla Spagna in questi anni la differenza in termini solo di tassazione sfiorava i 20% grazie alla legge Beckam che riduceva pesantemente la tassazione per i calciatori ritenuti alla stregua di “artisti”.
La legge è stata abolita quasi 2 anni fa, ma è ancora in vigore per i vecchi contratti in essere.
L’univa nazione verso la quale abbiamo ad oggi un vantaggio competitivo è la Francia che con l’introduzione per i prossimi 2 anni della legge che prevede una tassazione del 75% per gli stipendi oltre il milione di euro avrà un costo degli stipendi clamoroso.
Viceversa, rispetto ai diritti televisivi, i nostri top club godono a parte la Premier, di una situazione più vantaggiosa.
Nonostante la contrattazione collettiva e la conseguente ripartizione che ha impattato negativamente negli ultimi due esercizi, i nostri top club raggiungono ancora oggi un fatturato proveniente dai diritti televisivi che è secondo soltanto alle due spagnole che manco a dirlo beneficiano di una situazione estremamente favorevole in quanto la Spagna è l’unico paese in cui rimane in vigore la contrattazione individuale.
Real e Barca da sole incassano più della metà dei diritti TV della Liga, vale dire più di tutti gli altri 18 club che partecipano al campionato.
Con il contratto che entrerà in vigore a partire dalla stagione 2013-2014, la Premier ha raggiunto compresi i diritti tv che vengono venduti all’estero, i 2,5 milioni di euro a stagione. La ripartizione però è meno meritocratica che in Italia e prevede che il 50% venga ripartito equamente tra i 20 club che partecipano alla Premier.
Il triennio 2013-2015 prevede 1 miliardo per i diritti tv della serie A. Più indietro sono Liga e Ligue One. La Bundesliga a partire da quest’anno supererà il miliardo a stagione.
Ad oggi, la Juventus con i suoi 90, 5 milioni del bilancio 2012 che nel 2013 potrebbero diventare 104, è comunque uno dei club in Europa che incassa di più in termini di diritti televisivi locali. Il Manchester City incasserà 176 il Manchestre United 175.
Se venisse adottato il modello di ripartizione della Premier la Juve incasserebbe 38 milioni in meno mentre viceversa lo United 36 milioni in più.
L’UEFA ha fatto sapere che, per quanto riguarda le sanzioni, qualora il criterio del break-even requirement non venga rispettato, ma sia dimostrato che la società ha concretamente iniziato un percorso di miglioramento, le sanzioni non saranno automatiche e potranno essere mitigate e/o sospese. Può spiegarci meglio questo aspetto?
Credo o meglio spero che la UEFA intenda dire che a parità di scostamenti rispetto alla massima deviazione consentita di 45 milioni verranno sicuramente “premiati” o meglio sanzionate più benevolmente i club che avranno fatto registrare un trend positivo. Dare lo stesso peso al trend ed alle perdite di bilancio oltre che non in linea con quanto contenuto nella normativa sarebbe profondamente ingiusto verso i club più meritevoli che hanno messo in atto fin da subito azioni correttive ed efficaci, come ad esempio il Milan. Migliorare il trend è molto facile se si parte da 225 milioni di perdita come il Manchester City nel 2011. Peggiorare è praticamente impossibile. Viceversa, bilanci in pareggio, possono facilmente deviare verso una perdita anche significativa in conseguenza ad esempio di una mancata qualificazione o di una precoce eliminazione dalla Champions. I margini di discrezionalità che la UEFA si è tenuta almeno inizialmente in termini di sanzioni rispetto alle inosservanze della normativa sono elevatissimi. Ha senso nel momento in cui l’obiettivo è aiutare i club ad intraprendere il giusto cammino sempre però tutelandoli tutti. Sarebbe clamorosamente ingiusto non escludere il Manchester City dalla competizioni 2014-2015 soltanto perché ha ridotto la clamorosa perdita registrata nel 2011 pari a 225 milioni, magari ad una sempre altissima di 150 milioni. Le squadre che faranno registrare una perdita aggregata nel biennio 2012-2013 superiore ai 45 milioni consentiti, dovranno essere sanzionate in maniera commisurata ai vantaggi competitivi che avranno potuto avere nelle stagioni 2012-2013-2014, grazie ai soldi spesi in più. 3 stagioni sono tante. Il costo a stagione di un top player, definizione abusata in questi ultimi anni, ma che comunque sottintende il riferimento ad uno di quei giocatori che fa la differenza, che è costato 30 milioni, che guadagna 6 milioni netti con un contratto di 5 anni, è di 18 milioni di euro all’anno in Italia, mentre in alcuni altri paesi anche meno, 15/16 milioni all’anno grazie al diverso trattamento fiscale e previdenziale. I club che hanno uno scostamento di 60 milioni rispetto alla massima deviazione consentita, vale a dire una perdita aggregata sul biennio di 105 milioni contro i 45 consentiti, possono permettersi l’equivalente di 2 top player in più a stagione. E’ evidente che tale scostamento genera un enorme vantaggio competitivo. La UEFA dovrà riequilibrare il tutto con sanzioni appropriate. Il trend positivo, cioè la riduzione delle perdite è importante, ma le cifre, vale a dire lo scostamento rispetto alla deviazione dovranno esserlo molto di più.
Intervista di Giuseppe Berardi
*Finance, Human Resources & Operations Director in Pioneer Italia. Autore del libro "Vincere con il Fair Play Finanziario"
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