La linea di confine tra professionismo e dilettantismo: quale futuro per la pallavolo italiana?

di Federica Ongaro* 
Nel corso degli ultimi due anni ho frequentato in qualità di “addetta ai lavori”, nonché di appassionata, i principali palazzetti d’Italia.
Durante queste mie trasferte domenicali ho avuto modo di osservare, ascoltare e conseguentemente riflettere sulle opinioni, sulle critiche e sulle aspettative palesate da alcuni amici, non solo nella loro veste di colleghi, giornalisti, allenatori, atleti, ma anche (e forse soprattutto) di amanti di questo meraviglioso sport.
Ciò che è emerso dalle informali chiacchierate pre-partita è stato un generale e diffuso dispiacere (in alcuni casi, mi duole dirlo, vero malcontento) per la situazione sempre più aleatoria in cui verte da qualche anno a questa parte il nostro movimento a prescindere (ci tengo a sottolinearlo) dalla crisi economica la quale ritengo abbia semplicemente enfatizzato problematiche e disfunzioni presenti, già da diverso tempo, nel panorama pallavolistico italiano di “serie”.

Nonostante il costante ed ammirevole impegno manifestato dalle Leghe e dalle società consorziate, il sistema pallavolistico italiano risulta infatti del tutto obsleto e normativamente inadeguato a garantire una effettiva tutela dei diritti dei tesserati, siano essi atleti o tecnici, i quali continuano ad essere formalmente qualificati come “dilettanti” ma che di fatto sono veri e propri (lavoratori) professionisti.
Posto che per vari motivi il passaggio al professionismo non pare attuabile in questo preciso momento storico ed in attesa (utopica?) dell'emanazione da parte del legislatore di una norma ad hoc che riconosca la generale figura del “lavoratore sportivo”, ritengo sia necessario soffermarsi ed interrogarsi sui possibili rimedi e soluzioni concretamente attuabili all'interno del nostro amato movimento.

Un primo passo innovativo potrebbe essere quello della creazione di uno o più enti associativi nazionali di categoria (atleti/allenatori) aventi uno scopo assistenziale non lucrativo a tutto tondo, traendo magari spunto dalla ormai consolidata e preziosa AIC – Associazione Italiana Calciatori.
La necessità della nascita di enti associativi di categoria è stata palesata, seppur timidamente, nel corso degli anni e proprio recentemente si è assistito ad un lodevole tentativo di principio di associazionismo posto in essere dalle atlete militanti nei campionati di serie A, nonché a quello più concreto attuato con il benestare della Lega Pallavolo Maschile dagli allenatori delle squadre di serie A1 e A2.

La strada dell'associazionismo appare d'altronde espressamente percorribile in forza del disposto dell'art.65 n. 7 dello statuto Fipav: “Il Consiglio Federale può deliberare il riconoscimento di tesserati appartenenti alla medesima categoria in Associazioni Nazionali, determinandone con regolamento le funzioni e le competenze, nonchè la possibilità di nomina di un Commissario in caso di gravi violazioni dell’ordinamento sportivo ovvero in caso di constata impossibilità di funzionamento”.

Appare tuttavia evidente che la semplice costituzione di associazioni nazionali di categoria non sia di per sé sufficiente a far fronte alle problematiche e disfunzioni palesate. Contestualmente ed in conformità all'orientamento seguito in altre Federazioni Sportive Nazionali, potrebbero infatti essere predisposte all'interno delle carte federali regole generali concernenti la forma e il contenuto degli accordi tra enti sportivi “dilettantistici” e sportivi “dilettanti”. L'elaborazione di tali regole generali ben potrebbe essere delegata ed affidata ad una commissione (anche permanente) costituita dai rappresentanti degli enti associativi di categoria e delle Leghe Nazionali.
Non si deve infatti tralasciare che gli attori principali del movimento sono proprio i tesserati ed è dall'incontro e confronto paritetico con i sodalizi sportivi che deve originarsi l'onda di rinnovamento indispensabile per la salvaguardia dello stesso.

Particolare attenzione potrebbe essere poi rivolta al sistema sanzionatorio conseguente agli inadempimenti negoziali posti in essere dai sodalizi.
Seppur forte sostenitrice dei sistemi di risoluzione alternative delle controversie (ADR), appare evidente che le decisioni delle Camere di Conciliazione se non supportate da ferree regole in caso di eventuali e successive inadempienze risultano essere un mero strumento dilatorio in mano ai sodalizi se non, nel peggiore dei casi, mero fumo negli occhi.
Occorrerebbe al riguardo concentrarsi ed approfondire l'ipotesi di una responsabilità personale dei dirigenti sociali; è bene infatti ricordare che in forza dell'Art 9 n. 3 dello Statuto Fipav “(...) anche in deroga alle vigenti disposizioni di legge, in caso di cessazione di appartenenza alla FIPAV della società e associazione sportiva, i dirigenti sociali in carica al momento sono obbligati in via personale e solidale all’adempimento delle obbligazioni della società e associazione sportiva verso la Federazione, gli altri associati o tesserati e verso i terzi. Sono altresì soggetti alle procedure esecutive previste dalle vigenti disposizioni di legge”.

Quanto brevemente sopra esposto non ha ovviamente alcuna pretesa esaustiva dell'argomento. L'intento senza ambizioni è semmai quello di offrire da qui in poi meri spunti di riflessione dal punto di vista del diritto per la salvaguardia del nostro amato movimento. Né tanto meno ha pretese di pionerismo giuridico; delle soluzioni illustrate se ne sente parlare da più parti e già da diverso tempo.

Ciò che manca è, purtroppo, la concreta realizzazione delle stesse.
Confido tuttavia che ciò possa avvenire nel prossimo futuro.
Qualcosa si sta già muovendo. Ma l'onda di (r)innovamento potrà essere attuata solo di concerto tra le parti interessate.

Dott.ssa Federica Ongaro
*Consulente legale sportivo e agente sportivo Lega Pallavolo Serie A

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