Vale ancora la pena avere un grande atleta come testimonial?

Lionel Messi e Usain Bolt testimonial di Nike. Wayne Rooney uomo immagine di adidas. Non è fantascienza, ma quanto emerge da una ricerca condotta da Threepipe.com nel Regno Unito tra 2.000 ragazzi di età compresa tra i 18 e i 24 anni. 
Solo l’8% ha correttamente associato Usain Bolt a Puma (il 15% lo collega a Nike), Wayne Rooney a Nike per il 14% (il 10% lo associa ad adidas) e solamente il 6,8% è stato in grado di ricostruire il corretto binomio Messi-adidas (la stessa percentuale attribuiva la stella argentina come uno degli asset di Nike). Forse è anche per questo motivo che l’azienda di Herzogenaurach, secondo quanto riportato dal quotidiano sportivo El Mundo Deportivo in autunno 2013, sarebbe disposta a pagare al Barcellona metà della clausola rescissoria di Messi, pur di farlo accasare in uno dei top team europei sponsorizzati adidas.

Sorprendentemente, l’associazione di un atleta a un brand non sportivo risulta avere un engagement decisamente più elevato, come nel caso di Jessica Ennis, campionessa olimpica a Londra nell’eptathlon, e Santander (38%) o Usain Bolt con Virgin Media.
I dati sono ancora più sconcertanti e allarmanti se si pensa che, solamente il 23% degli intervistati, ha affermato che l’associazione di un brand a una star sportiva influisce sulla propensione all’acquisto e che il 68% raramente o quasi mai nota i marchi che i singoli atleti indossano sul campo da gioco.

Sorge spontanea una domanda alla luce dei dati che sono emersi da questa ricerca: vale la pena investire così tante risorse se poi il riscontro, verso il target di riferimento a cui si rivolgono le principali aziende produttrici di articoli sportivi, non genera ritorni elevati in termini di brand awereness? 

Le aziende investono enormi quantità di denaro nella sponsorizzazione di un atleta e nella comunicazione di tali collaborazioni. Nella maggior parte dei casi, emerge piuttosto chiaramente che, attraverso la loro attività comunicativa, le case tentino più ad utilizzare i loro asset per aumentare la brand awereness, che a suscitare un vero e proprio impulso, stimolo o desiderio all’acquisto nei consumatori.

L’uso del testimonial dovrebbe essere in grado di avvicinare il consumatore alla marca e al prodotto, creando un rapporto sinergico ed emozionale, e non allontanarlo o addirittura non associarlo al brand stesso. Il legame con un atleta sportivo e il suo utilizzo nella promozione di un prodotto dovrebbero essere uno dei modi migliori per interagire con il proprio target di riferimento, in questo caso un pubblico giovane, ma questa ricerca suggerisce l’esatto contrario, ovvero consiglia di rivedere l’intera attuale strategia globale di comunicazione, volta esclusivamente alla brand awereness, al fine di suscitare e creare nuovi bisogni nel consumatore in modo tale da tramutarli in acquisti di prodotti.

Luca Saini
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