Intervista a Matteo Zuretti, Chief International Relations & Marketing per la NBPA, il sindacato dei giocatori NBA



Si è svolto, per il secondo anno consecutivo, alla SDA Bocconi School of Management, il programma “Branding in the Global Economy” organizzato dalla National Basketball Players Association (NBPA) e rivolto ai giocatori della NBA.
L’evento ha visto la presenza di Danilo Gallinari (Los Angeles Clippers), Tarik Black (Houston Rockets), Gary Harris (Denver Nuggets), Karl-Anthony Towns (Minnesota Timberwolves), Jarret Jack (New York Knicks), Donatas Motiejunas (ex New Orleans Pelicans e Houston Rockets, ora Shandong Golden Stars), Damjan Rudez (ex Orlando Magic e Minnesota Timberwolves, ora Monaco) e Thabo Sefolosha (Utah Jazz).
Il programma, diretto da Dino Ruta e Luana Carcano, fa parte della International Business Academy (IBA) lanciata da NBPA per far fronte alla crescente necessità dei propri 450 giocatori di conoscere e vivere la dimensione internazionale anche dal punto di vista economico-manageriale.

Nel corso dell’evento Sport Business Management ha intervistato Matteo Zuretti, Chief of International Relations and Marketing del sindacato dei giocatori NBA.

Nel tuo lavoro per la NBPA, hai modo di indagare quotidianamente le necessità espresse dai giocatori di basket migliori al mondo. Da quali di queste necessità è nato il progetto “International Business Academy”?

Sin da adolescenti i giocatori si sentono ripetere che sono un brand e che la loro esposizione globale porterà in dote opportunità sconfinate. È solo parte della verità, nulla succede se non ti fai trovare pronto, ed, ancor più importante, preparato a cogliere le occasioni nella breve finestra che hai a disposizione durante la carriera da atleta. IBA vuole preparare i ragazzi a costruire, espandere e proteggere il proprio brand nel mercato globale, nel quale trovano condizioni assai diverse rispetto a quelle a cui sono esposti negli Stati Uniti quotidianamente.

“Branding in the global economy” è il nome del programma. Quanta consapevolezza c’è da parte dei giocatori NBA della forza del loro personal brand e della necessità di massimizzarne il valore fuori dal campo?

Dipende molto dal percorso individuale dei singoli ragazzi ed in quale momento della loro carriera si trovano: sono tutti sicuramente consapevoli del proprio valore, e di come possano influenzare i comportamenti delle chi li segue e li idolatra. Noi cerchiamo di aiutarli nell’individuare quali valori vogliono, e possono, associare al proprio brand. Non è un processo di costruzione, ma piuttosto di scoperta e di rivelazione di ciò che possono trasmettere e sostenere in maniera autentica.

Finita la settimana di incontri e spunti in aula, gli atleti tornano alla loro quotidianità, scandita da intensissimi impegni sia in campo che fuori dal campo. Come si può dare seguito durante l’anno alla conversazione dei giorni a Milano? Come si inserisce IBA all’interno dell’offerta di NBPA ai propri associati?

Ogni giocatore ha lasciato l’aula con il proprio action plan. Tanto spetterà a loro, ed il primo passo è sempre circondarsi delle persone giuste perché creino un team personale che possa supportarli quotidianamente. Dal canto nostro, i ragazzi sanno che ci sono 60 professionisti nel nostro Head Quarter a Times Square a loro completa disposizione per supportarli nel loro percorso di crescita personale.
IBA è uno dei tanti programmi che aggiorniamo costantemente: andare nella Silicon Valley per sapere come investire consapevolmente in una start up, imparare a preparare un pitch o scoprire se fare il broadcaster o l’allenatore faccia realmente al caso loro sono solo alcune dei semi che piantiamo insieme. La grande soddisfazione è quando nascono dei frutti, magari mentre la loro carriera non è ancora finita. Si legge solo degli atleti che gestiscono male il proprio patrimonio, ma gli esempi di chi diventa un imprenditore di successo sono sempre più numerosi.


Finita la settimana di incontri e spunti in aula, gli atleti tornano alla loro quotidianità, scandita da intensissimi impegni sia in campo che fuori dal campo. Come si può dare seguito durante l’anno alla conversazione dei giorni a Milano? Come si inserisce IBA all’interno dell’offerta di NBPA ai propri associati?


Ogni giocatore ha lasciato l’aula con il proprio action plan. Tanto spetterà a loro, ed il primo passo è sempre circondarsi delle persone giuste perché creino un team personale che possa supportarli quotidianamente. Dal canto nostro, i ragazzi sanno che ci sono 60 professionisti nel nostro Head Quarter a Times Square a loro completa disposizione per supportarli nel loro percorso di crescita personale.
IBA è uno dei tanti programmi che aggiorniamo costantemente: andare nella silicon valley per sapere come investire consapevolmente in una start up, imparare a preparare un pitch o scoprire se fare il broadcaster o l’ allenatore fa realmente al caso loro sono solo alcune dei semi che piantiamo insieme. La grande soddisfazione è quando nascono dei frutti, magari mentre la loro carriera non è ancora finita. Si legge solo degli atleti che gestiscono male il proprio patrimonio, ma gli esempi di chi diventa un imprenditore di successo sono sempre più numerosi.

I giocatori internazionali (non-USA) nella NBA sono molti di più rispetto a qualche anno fa, e occupano spesso ruoli di spicco nelle rispettive franchigie. Quali sfide particolari affrontano per accrescere il proprio brand, sia in USA che nei loro paesi di provenienza?

Storicamente i ragazzi internazionali arrivano meno preparati sul costruire il proprio brand fuori dal campo rispetto ai loro colleghi americani che crescono nella patria dello story telling. Per questo però sono più flessibili, anche grazie allo sforzo che devono compiere quotidianamente per performare in un contesto multiculturale in cui, per lo meno all’inizio, sono ospiti. La più grande difficoltà è la lontananza da casa però: è difficile ingaggiare i tuoi fans quando sei nel tuo paese solo per poche settimane l’anno. Il valore degli internationals, salvo rare eccezioni, è massimo in patria, ma i giocatori sono poco presenti nei loro rispettivi mercati. I social aiutano, ma non sono tutto, in l’articolare quando non puoi andare a vederli giocare dal vivo.


In un ecosistema così ricco di portatori di interesse (agenzie, famiglie, squadre, federazioni, …) e con un calendario così fitto di impegni, ci sono difficoltà per un sindacato come NBPA nel portare avanti iniziative con i giocatori durante il corso della stagione?

Si, i ragazzi sono concupiti da tutti, chiunque lavori con il talento sa che è in competizione per la loro fiducia, la loro attenzione e quindi il loro tempo. Noi stiamo ottenendo dei risultati straordinari dal punto di vista dell’engagement e la nostra chiave è proporre costantemente qualcosa che sia rilevante, utile e cool. Con IBA siamo partiti dalle loro passioni, coinvolgendo i brand che amano, e chiedendo ai loro leader di condividere con i ragazzi case studies e strategie.


“THINK 450” è il nuovo ramo di NBPA che avete presentato in occasione dello scorso All-Star Game. Ci puoi descrivere quali sono le sue finalità?

L’NBPA è un sindacato e quindi non ha fine di lucro. Think450 è l’organizzazione for profit controllata da NBPA che gestisce i group licensing rights di tutti i 450 giocatori NBA. I giocatori hanno deciso di riprendere il controllo di questi diritti dopo averli fatti gestire alla lega per più di 20 anni per avere maggiore controllo e voce sul loro business, ulteriore conferma della loro consapevolezza. Lavoriamo con più di 90 licensees che vedono il collettivo dei giocatori NBA come un asset per creare un prodotto di consumo (es: Nike le divise, o T2 il videogioco NBA2K), una campagna pubblicitaria, o un’attivazione che coinvolga più giocatori allo stesso tempo.
Noi pensiamo 450, ed incoraggiamo i nostri partner a fare altrettanto: Lebron e Steph sono unici ed iconici, ma ci sono tantissimi altri giocatori che possono aggiungere valore ad un’azienda o ad un brand.

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