L'ascesa del calcio femminile in Italia


Ogni anno la Mattel, storica produttrice della Barbie, realizza una bambola dedicata al personaggio femminile dell'anno.
Quest'anno si è trattato di Sara Gama: calciatrice e capitano della Juventus femminile campione d'Italia 2017/2018.
Una notizia destinata ad accrescere la popolarità del calcio femminile in Italia, fenomeno in passato trascurato e del quale il nostro Paese ha tardato molto a prendere coscienza.
Oggi, però, le cose stanno cambiando.
Questi alcuni numeri: sono 23.196 le calciatrici tesserate per la Federcalcio (di cui ben 12.129 Under 18) e 659 le società registrate, con una Serie A, a 12 squadre, e una Serie B, suddivisa in quattro gironi, con promozioni e retrocessioni.

Numeri senza dubbio interessanti, ma ancora inferiori alla media europea.
Un recente report UEFA del 2016/17 ha reso noto che le calciatrici tesserate in Europa sarebbero oltre 1,270 milioni (di cui 827.000 Under 18).
In aumento anche il trend delle leghe giovanili, cresciuto da 164 a 266 tra il 2012/13 e il 2016/17.

E ancora, sono 52 i Paesi con un campionato nazionale dedicato e non si arresta la crescita delle calciatrici "professioniste", passate da 1.303 nel 2012/13 a 2.853 nel 2016/17.
Dati che fanno ben sperare, anche per l'Italia, ma che inevitabilmente devono fare i conti con l'attuale sistema normativo.
Ma andiamo per gradi.

Esiste una distinzione tra sport professionistici e non: per chiarirla occorre rifarsi alla L. n. 91 del 1981, la quale, all'art. 2, prevede che "sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica".
Ad oggi, di ben 44 Federazioni sportive italiane affiliate al CONI, quelle che hanno riconosciuto il professionismo sono solo una manciata (negli ultimi anni, tra l'altro, in calo) e si limitano al calcio, al basket, al golf e ciclismo.
In ogni caso, le donne non sono mai (formalmente) interessate dal fenomeno professionistico.

Una concezione del tutto anacronistica, che non tiene in debita considerazione diverse realtà, come il volley femminile, nelle quali le atlete vivono, si allenano e sfruttano la propria immagine esattamente come i loro colleghi uomini, come già evidenziato a più riprese da questo sito.
La questione ha chiari risvolti sociali: le atlete, che pure si allenano con continuità e in modo professionale, non venendo riconosciute come professioniste, subiscono un'evidente discriminazione, non potendo beneficiare, ad esempio, di una tutela pensionistica né mutualistica.




In un tale contesto è d'obbligo un cambiamento radicale.
In attesa che il nostro legislatore prenda coscienza di tale situazione, anche alla luce dei numeri del fenomeno calcistico femminile in Europa, segnaliamo che anche in Italia il calcio femminile ha assunto una dimensione piuttosto rilevante, tanto da rendere inevitabile una presa di coscienza della FIGC circa la crescita del movimento, da cui è conseguita la decisione di organizzare i prossimi campionati di Serie A e Serie B, di fatto sottraendoli alla gestione della LND.
Il ricorso proposto da quest'ultima avverso la citata decisione è attualmente pendente.

In ogni caso, confidiamo che possa finalmente trattarsi di una prima consacrazione che possa portare, nei prossimi anni, ad aprire un tavolo di dibattito (e di riforma) verso il pieno riconoscimento di questa realtà, a tutti gli effetti professionistiche.

Luana Liberti
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Domenico Filosa
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